La passione e quello sguardo che ci scruta dentro

Julieta di Almodovar ci dà lo spunto per riflettere sulle emozioni e sul passato

 

di Mariateresa Grasso

Colori forti ed emozioni da pugno allo stomaco caratterizzano spesso i film di Almodòvar, e “Julieta” non è da meno. Le emozioni intense, i sentimenti passionali danno senso alla nostra esistenza, ma quando non riusciamo a pensarli possono diventare laceranti e addirittura rovinare le nostre vite. Che fare per evitarlo? Nel film, Julieta è una donna di mezza età, ancora molto bella. Di lei si innamora Lorenzo, un uomo di cui sappiamo poco, ma che si presenta come un uomo elegante, onesto, che “elegantemente” ama Julieta, rispettandone i silenzi e le scelte. I due vivono a Madrid, ma stanno per trasferirsi in Portogallo. Improvvisamente Julieta però cambia idea e resta a Madrid, anche se pochi istanti prima aveva detto che non sarebbe più voluta tornare a Madrid se non costretta. Come mai un cambiamento così repentino? Perché incontra una vecchia amica, che dice di aver incontrato sua figlia Antìa. Julieta non vede da 12 anni la figlia, che, appena compiuti 18 anni, ha deciso di andar via e di non dare più notizie di sé. Julieta allora decide di restare a Madrid pesando che un giorno la figlia potrebbe farsi sentire. Ma non è solo questa la ragione. Da quel momento Julieta decide di dar voce a tutta la sua storia, a tutti i suoi dolori, raccontandosi in un diario destinato ad Antìa. Decide di non “scappare” come spesso ha fatto. La storia di Julieta è segnata da amori, amicizie, affetti profondi, e da altrettanti lutti e separazioni. L’assenza della figlia è stata per anni un’ossessione per la donna, le ha “distrutto” la vita. Chi potrebbe non comprenderla? Colpisce però che Lorenzo, il suo nuovo compagno non sappia niente di tutto ciò. Mantenere un segreto dentro di sé, non dire necessariamente tutto di se stessi permette di non sentirci svuotati, di maturare un pensiero nostro sulle cose, ma tacere su un dolore, come quello vissuto da Julieta può avere conseguenze altrettanto dolorose. Spesso pensiamo che tacendo possiamo proteggere gli altri. Non si dicono le cose ai bambini perché sono bambini, ai genitori perché si preoccuperebbero, ad un compagno perché forse ci giudicherebbe, e così nel tenerci tutto dentro permettiamo al dolore, alla colpa, alla vergogna di segnare la nostra vita. Spesso ci illudiamo che cambiando città, casa, quartiere, paese, come anche il film racconta, si possa magicamente iniziare a vivere una vita nuova. Come se il cambiamento esterno provocasse da solo un cambiamento interiore, quello davvero utile per trovare serenità. I contesti sicuramente possono aiutarci, ma se non cambia il modo con cui ognuno di noi dentro di sé si rapporta alla propria storia, niente dall’esterno potrà aiutarci, almeno non nel lungo periodo. La donna vive molti sensi di colpa, per la morte del marito giovane, di cui era molto innamorata; per il suicidio di un uomo incontrato casualmente su un treno e di cui teme non aver accolto la richiesta di aiuto; per la scomparsa della figlia, forse per averle chiesto troppo sostegno come madre. Il regista nei suoi film spesso ci presenta emozioni primitive, che dunque appartengono a tutti, intrecci di relazioni, soprattutto tra donne, in cui la natura del rapporto è ambigua e l’affetto tra donne è spesso confuso ad attrazione, di cui le stesse protagoniste sono poco consapevoli. Emozioni queste che ci fanno paura, proprio perché ne avvertiamo il potere seduttivo. Amore e morte viaggiano spesso insieme nei film di Almòdovar e così non sappiamo più se quei colori così accesi della Spagna, dove quasi sempre sono ambientati i suoi film, e degli abiti, del cibo sono fonte di gioia o di dolore. Silenzi e “non detti”sono spesso le soluzioni adottate dai sui protagonisti, ma sono soluzioni illusorie. Basta poi un casuale incontro e quella nuova vita che pensavamo di aver costruito, quella nuova identità, spariscono in un attimo per lasciare spazio ad angosce profonde. Saper riconoscere ciò che accade dentro di noi e saperlo dire, è il primo passo non per cancellare il passato, ma per “farci pace” e per godere di un presente che a volte non riusciamo a vedere proprio perché irretiti dal passato. Lorenzo è il presente di Juilieta, è un nuovo amore, che come un occhio esterno “legge” i vissuti della donna, li rispetta, li ama. La sfida per noi tutti è trovare quell’occhio prima dentro di noi.