Le parole sbagliate: dalle dirette di De Luca ai tweet di Toti

I linguaggi violenti e superficiali dei nuovi sovrani.

le parole sbagliate dalle dirette di de luca ai tweet di toti

In questa lunga e sfibrante pandemia si evidenziano fratture, distorsioni e disfunzioni di ogni sistema istituzionale del mondo. In Italia si è messo in mostra un decentramento ragionale che è figlio di riforme mai completate e che ha generato quei mostri che oggi sono le Regioni. 

Ogni regione si è trasformata in un regno e ogni regno che si rispetti ha il suo signorotto che, preso dalla mania di onnipotenza alimentata dalla comunicazione diretta dei social, comunica in continuazione a quel popolo di sudditi e non più di cittadini. 

Ci siamo ritrovati ad affrontare l’emergenza sanitaria nella confusione di un Paese diviso, dove ciò che vale a Napoli non vale a Genova, dove una mascherina indispensabile a Salerno non è tanto utile a Milano, dove la vita di un cittadino  italiano non ha lo stesso valore ovunque ma cambia in base al pensiero del suo sovrano.

In questa lunga e folle pandemia sono emersi come nel periodo feudale i nuovi sovrani dei regni regionali. Presidenti trasformati in governatori all’americana, in virologi esperti ed infallibili, in economisti preparati. Ogni presidente si sente Lider Maximo della sua isola rivoluzionaria con il vezzo di parlare sempre e su tutto avendo la verità in tasca e l’allergia al contraddittorio.

Alle parole ormai incontrollabili di un Vincenzo De Luca che sfida la piazza come un bullo di provincia, che criminalizza i bambini che vogliono andare a scuola e le loro famiglie e che dice a chi manifesta che “a Santa Lucia dovete venire a dire grazie per i soldi che vi abbiamo dato e non a protestare”, gli fa eco uno Zaia che tra “cinesi che mangiano topi” e congiuntivi che saltano, continua a mostrarsi al suo popolo come infallibile. 

Oggi però a superare tutti è arrivato Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, un tempo moderato cresciuto sotto l’ala di Berlusconi, oggi incendiario che dà sfogo alle sue idee suoi social.

Con un tweet Toti ha rispolverato un linguaggio che ha un sapore d’ingegneria sociale alla Pol Pot  mescolata all’eugenetica nazista.

“Per quanto ci addolori ogni singola vittima del Covid19 - scrive fiero il sovrano ligure- dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate”. 

Alla fine, sembra dire Toti, stanno morendo i vecchi, quelli che addirittura sono in pensione, quelli che dobbiamo pagare per farli stare in vacanza, quelli che non collaborano al progresso e alla crescita economica e dunque perché dobbiamo farci tutti questi problemi?!

Con un solo tweet Toti ha scatenato il putiferio di dichiarazioni e di reazioni. Una levata di scudi umanitaria per dire al mondo che in italia non abbiamo alcuna intenzione di usare il virus come arma per un grande geronticidio.

Quando ormai tutto si è scatenato e sui social Toti viene seppellito da una valanga di critiche, il sovrano ligure prova a metterci una pezza che però è peggiore del buco.

Un ipotetico staff del sovrano si firma e scrive “Il senso di questo tweet, che appartiene a un ragionamento più ampio, è stato frainteso. I nostri anziani sono i più colpiti dal virus, sono persone spesso in pensione che possono restare di più a casa e essere tutelate di più”. 

Naturalmente un sovrano non può scusarsi, non può accettare di aver commesso un errore, non può ammettere di aver detto quella che a tutti gli effetti è una stupidaggine pericolosa e gravissima. Un sovrano fa intervenire i suoi lacchè, scarica la responsabilità su di loro, prova a giustificare le sue parole che sono quelle giuste ma che vengono traviste e non capite dagli altri. 

Il sovrano, in realtà è stato frainteso da un popolo stupido, lui gli anziani li ama e forse proprio per questo li valuta inutili per il Paese e per l’economia e il progresso nazionale e dunque sacrificabili.

In questa lunga e triste pandemia abbiamo perso il senso del linguaggio. Da episodi come questo dovremmo forse riscoprire il valore delle parole prima ancora che i volere dei sovrani. Potremmo decidere di ripristinare l’importanza di ogni singola parola usata, perché le parole possono essere pietre, bombe, proiettili, soprattutto se ad usarle sono le istituzioni. 

Se alle manifestazioni di piazza le istituzioni reagiscono con un linguaggio da bullo di provincia alla De Luca si fomenta la rabbia. 

Se davanti alla morte di decine di migliaia di persone le istituzioni usano parole utilitaristiche si svilisce la vita di tutti coloro che si sono spenti. 

Se in questa fase le istituzioni usano parole solo per usarle, per evitare di tacere, per mettersi in prima fila, per guadagnare le luci della ribalta, si rischia di produrre più paura, di inasprire la rabbia e la tensione di una società che è lacerata, stanca e insofferente. 

Se gli eletti non la smettono di comportarsi i sovrani non ci sarà futuro per un Paese che arriva diviso, debole e sfibrato ad una sfida di resistenza epocale alla quale si può rispondere solo senza lasciare nessuno indietro, neanche gli anziani.