Gomorra e quel sistema che ci uccide. Più della droga

La terza stagione va oltre Scampia e le piazze di spaccio. Racconta un'altra camorra. Più letale.

Un sistema che tutti conosciamo e che vive accanto o con noi. Ci travolge anche se non siamo camorristi, non facciamo uso di droghe e non viviamo in zone controllate dalla malavita organizzata

di Luciano Trapanese

Pagare per un lavoro e ricevere un misero stipendio a nero. In aziende indebitate e per questo facilmente acquisite dalla camorra. E' l'essenza del business raccontato dall'ultima stagione di Gomorra. Sintetizzato da Genny Savastano: il vero affare è la disperazione della gente. Più della droga.

Il tutto in una circolarità malata che uccide più della cocaina. E che comprende politici compiacenti (per appalti pubblici), e la violenza necessaria a estromettere concorrenti o far tacere qualche dipendente che tenta di ribellarsi.

E' una fiction certo, ma in questa stagione esce dai canoni risaputi: droga, piazze di spaccio, clan contro clan. Per raccontare una realtà verosimile (come era verosimile nelle stagioni precedenti e nello stesso film), ma ancora più inquietante. Perché travalica il muro immaginario di Scampia o Secondigliano, e tracima un po' ovunque in Campania.

Non è una novità che in alcune zone il lavoro si compri (lo sanno anche i sindacati), che si viene pagati a nero o in alternativa che rispetto alle cifre della busta paga ai dipendenti venga consegnato non più del cinquanta per cento. E neppure vi sorprende, ne siamo certi, che in molti ospedali c'è sempre un solerte infermiere che avvisa quando un paziente sta per morire e che in diversi cimiteri l'accesso è consentito solo ad alcune agenzie funebri. Come è del tutto evidente che il riciclaggio del denaro sporco contempli l'acquisizione di imprese sull'orlo del fallimento e che ci siano politici conniventi e collusi che hanno costruito le loro carriere grazie ai voti della malavita organizzata (tutti episodi raccontati nell'ultimo episodio della terza serie).

E' quella parte del “sistema” che fa più paura. Agisce sul limite della legalità, non deve sparare (se non in pochi casi), avvelena in modo definitivo il vivere civile e il tessuto economico. E' un cancro più letale delle piazze di spaccio. Un veleno più subdolo e mortale. Quasi invisibile. Che coinvolge tutti. Non solo spacciatori, tossicodipendenti e ragazzini che fanno le stese. Ma politici, colletti bianchi, imprenditori e onesti lavoratori. Disarciona certezze, relega in un angolo buio qualsiasi ipotesi di futuro.

Se ha un merito la terza stagione di Gomorra è proprio questo: aprire una finestra su questo business. Più complesso e meno spettacolare delle consuete guerre tra clan. Ma decisamente realistico. Brutalmente realistico.

Come al solito la serie riapre una sterile discussione: quella sulla fascinazione del male. Su come Genny o Ciro l'immortale alla fine risaltino come personaggi “imitabili”. E non brutali assassini integrati nel sistema.

Ma è una questione senza senso. Che ritorna ciclicamente. Negli anni '60 c'era chi voleva vietare la pubblicazione di fumetti come Diabolik, Kriminal o Satanik, perché i protagonisti erano ladri e assassini (per Satanik l'aggravante di essere donna e con liberi appetiti sessuali).

I casi sono stati tanti. Ora tocca a Gomorra. E capita solo da noi. Non ci sembra che negli Usa ci sia stato un gran dibattito su serie come Deuce (sulla nascita dell'industria pornografica), Snowfall (giovani spacciatori che inventano il crack), o Ghost, dove viene mitizzata la figura di un trafficante di coca. Per non parlare delle svariate serie su Pablo Escobar.

Qui invece si ciarla ancora sulla opportunità di mostrare al pubblico un prodotto come Gomorra. Che non ha un intento morale, non pretende di insegnare niente a nessuno: è solo fiction. Può piacere o meno. Ma quello è. Con un merito, che abbiamo appena riconosciuto: in questa terza stagione racconta quella intrusione inquietante del sistema nella vita di ognuno di noi. Che ci sfiora, ci aggredisce, ci annulla, anche se non siamo camorristi e non facciamo uso di droghe. E' lì, accanto alle nostre vite. A volte dentro. E con la faccia pulita e insospettabile di un imprenditore, un amico o un consigliere regionale.