Burattini, streghe e briganti. Ritratto in nero di una città

Invocato un comitato di salute pubblica che rischia di essere un comitato d'affari...

burattini streghe e briganti ritratto in nero di una citta

Al ballottaggio dell’anno passato taluni controllori di voti del partito preferirono non votare il candidato ufficiale piddino preferendogli la creatura festiana...Il ritorno alle urne è l’unica possibilità per riprendere un percorso di democrazia

Avellino.  

Walter Benjamin, autore mi dicono assai frequentato nell’augusta e colta aula del consiglio comunale di Avellino, ebbe una rubrica radiofonica tra il 1929 e il 1932 in cui raccontava ai ragazzi tedeschi storie di burattini, di antiche bande di briganti, di caccia alle streghe per poi porre ai suoi giovani ascoltatori questioni complesse relative alla tecnica, allo sviluppo dell’industria, al crescente e invasivo dominio oppressivo del potere. Anche noi, e i veri cultori di Benjamin perdoneranno la nostra arroganza, proveremo a spiegare ai ragazzi il pericolo derivante dall’ignoranza sfacciata e dalla ipertrofica e ottusa difesa dei propri bisogni.

Ma veniamo alla breve narrazione. Attualmente per sviare l’attenzione da una situazione composta da uno spaventoso miscuglio di cialtroneria e improvvisazione, in cui appare impossibile scorgere brandelli di dignità, s’invoca un Comitè de salut pubblic, tradotto in italiano corrente, un Comitato d’affari e di lemuri al seguito, per salvare i destini luminosi ed imperiali della sciagurata Avellino. Naturalmente si auspica la taumaturgica, comoda, attesa RESPONSABILITÀ quale antigene per immunizzare la libertà dei cittadini e giustificare ogni indecente comportamento politico.

Nelle reiterate preghiere salvifiche e rituali finora sopportate, concettualmente miserrime e, per taluni aspetti psicologici, pietose, non si sono salvate per qualità nemmeno le “pause teatrali”, notoriamente non amate dalla distratta e quanto meno simpatica Schlein, quale esercizio di una recita modesta e reticente, degna al massimo di essere rappresentate in un’aula scolastica in chiusura d’anno.

A questo punto non può non essere richiesto il già citato Comitato di Salute pubblica - ci risiamo con gli improvvidi richiami storici - necessario a mettere insieme fragaglie di triglie sempre presenti nella rete a strascico, cospicui lacerti del PD, l’intera destra centrista e responsabile appunto [sic!] e il sostegno cieco dei rinsaviti viaggiatori di Damasco, provenienti dalle miracolate ridotte dell’ombra di Banquo, sempre più indicato vigliaccamente dai suoi eteri di appena ieri quale unico responsabile del disastro in corso. Per quale fine? Per realizzare quale progetto? Conservare ruoli e convenienti indennità, meschini privilegi, biglietti omaggio? Eppoi? Affidare nelle mani lucrose di oscuri manovratori la gestione di cosa?

Il Partito democratico, che da ben tre competizioni esce battuto nelle elezioni comunali del capoluogo conservando intatto il suo gruppetto dirigente - lo ripetiamo fino alla noia, costituito in parte da transfughi ingrati del crepuscolo, triste, solitario y final, demitiano -, accettando le suppliche e il canto ammaliatore delle sirene di Ulisse andrebbe al suicidio politico assistito. Inoltre verrebbe avvalorata la tesi del già senatore Enzo De Luca secondo cui al ballottaggio dell’anno passato taluni controllori di voti del partito preferirono non votare il candidato ufficiale piddino preferendogli la creatura festiana. In questo caso siamo persino più comprensivi: l’invidia, segno talora di fragilità e stupidità conclamate, è una malattia perniciosa, assai diffusa in città e in provincia.

La stabilità, ora sollecitata con acre retorica anche dal non cavouriano vescovo della diocesi, in realtà si fonda su una configurazione di equilibrio idonea ad assicurare la continuità e sopportare al tempo stesso il fisiologico cambiamento del sistema su cui si fonda l’azione politica, sociale e amministrativa di una istituzione. Chiedere la stabilità quale concetto neutro senza rinnovare radicalmente le fonti della instabilità significa soltanto aggravare irresponsabilmente la situazione.

Un tempo, soprattutto dopo la tragedia dell’Ottanta, ora riproposta con analogie incredibilmente bislacche da suggeritori gaglioffi e impreparati, gli eredi di Edoardo Nottola, il terribile imprenditore d’assalto protagonista del capolavoro di Francesco Rosi impersonato da un grandissimo Rod Steiger, salivano sull’ubertosa collina avellinese e scalavano le verdi montagne dell’Alta Irpinia per ottenere agevolazioni bancarie e incarichi al ribasso col pretesto di compleanni e ricorrenze varie, oggi sono coloro che decidono candidature e offrono lavoro, provano a controllare e influenzare la circolazione delle notizie attraverso gli assoldati di turno, approvano o disapprovano alleanze, orientano le emozioni sportive e coltivano le modalità inique quanto note del voto di scambio.

I cittadini ricorderanno che ad ogni rovinosa caduta in consiglio la Vice - la buonanima di Leonardo Sciascia mi perdonerà per l’uso del nome Vice, il commissario di polizia protagonista del romanzo “Il cavaliere e la morte”, ma pensavo letterariamente a qualcosa che supplisce o che “non c’è affatto” -, lo apprendiamo dalle igieniche e asettiche cronache del giornalismo casalingo, porta in bilancio fantomatici bastimenti carichi di milioni pronti ad essere affondati per colpe altrui. Al primo intoppo erano appena 50 [sic!], oggi 150, domani saranno perlomeno 300! E così di seguito.

L’argomento dei fondi a rischio, sostenuto con tanta ignominiosa veemenza dai civici politicanti e dai loro ventriloqui di piazza, diventa pertanto il motivo centrale della richiesta di un immediato scioglimento del Consiglio comunale.

Ma accettiamo di seguire su questa strada senza uscite il miraggio di una ipotetica isola del tesoro. Come può un’amministrazione così inconsistente sul piano politico-culturale programmare, gestire e realizzare opere per 150 milioni di euro entro il 2026 in questo fetido clima di divisioni, ricatti occulti e interminabili contrasti? È una domanda che più che alla politica locale occorre probabilmente rivolgere al Prefetto, alla Procura della Repubblica e soprattutto a quell’opinione pubblica, sovente assente, che mostra solo nell’anonimato di una cauta corrispondenza privata coraggio ed indignazione.

Il ritorno alle urne è l’unica possibilità per riprendere un percorso di democrazia e di legalità in un contesto che per ragioni alquanto note è ridotto a un permanente groviglio di chiacchiere da ballatoio in cui restano fuori interesse pubblico e idealità civili mentre, nei bassifondi del politicume provinciale, si fertilizzano ambizioni e coltivano relazioni in vista delle elezioni regionali del prossimo ottobre, meta o miraggio di tanti piccoli statisti di quartiere.

L’amministrazione della finanza pubblica, su cui tante ombre sono calate nell’ormai rinnegato quinquennio precedente benché condiviso con obbediente spirito collaborativo - (sono esplicite affermazioni di un magistrato) -, deve avvenire nelle più trasparenti condizioni possibili e con un gruppo di amministratori adeguati alle richieste della modernità, uniti da una comune visione di sviluppo e di trasformazione. L’idea di falsificare i fatti e gli avvenimenti, dichiarandosi irresponsabili rispetto al recentissimo passato è tecnicamente impossibile - il vincitore delle ultime elezioni era un candidato non candidato - e umanamente immorale.

Di fronte allo sfacelo odierno, difeso con saccenteria degna della più trita e folclorica avellinesità, chi può garantire una progettualità basata su condivisi principi etici e non su volgari quanto plateali interessi di parte? Un’ulteriore domanda che non può essere affrontata da chi tende unicamente alla sopravvivenza di sé stesso, incurante degli errori finora compiuti e di quelli che si annunciano all’orizzonte.

Finora, tanto per ricordarlo, sono state immolate sull’altare di Abramo, con l’eccezione di qualche fortunato Isacco, file di assessori quale disperata, cinica metafora della medievale locuzione “mors tua vita mea”. In una società civile ed eticamente integra basterebbe questo solo comportamento per giudicare del tutto inadeguato al governo della cosa pubblica chi sacrifica gli altri per bieco opportunismo. Un leader, o meglio, una Persona vera è sempre responsabile delle proprie azioni e paga direttamente le conseguenze degli errori commessi.

La cementificazione spregiudicata e fuorilegge di una città che annualmente perde consistenti quote di verde e di memoria, il visibile calo demografico - nel 2007 avevamo 57 mila abitanti, nel 2023 appena 52 mila - , l’utilizzo disinvolto dei partiti politici per ottenere incarichi e stipendi persino in età pensionabile, la perdita costante di occupazione stabile colmata in parte con l’aumento della precarietà lavorativa, la crisi irreversibile di aziende pubbliche gestite da mandarini in sedicesimo noti per la proverbiale incompetenza, rendono Avellino, almeno quella parte prevaricata da una conclamata disonestà morale, una città in nero, in buona parte disabituata da lunghi periodi di corruzione ambientale alla sana consultazione della Gazzetta Ufficiale.

Come consolarci quindi in questo paesaggio di rovine popolato da mesti burattini e tanti, troppi magliari? Ancora con Benjamin che in una delle sue mirabili micronarrazioni ricordava che nell’antica Germania i briganti a differenza di altri criminali sono “pur sempre i più nobili tra i delinquenti, perché sono gli unici a possedere una storia”.

Cosa prevarrà in queste ore: un’Avellino di burattini, streghe e briganti, con al seguito un codazzo di portatori di affari, di lance e di allegria massificata, per un elettorato bambino, abituato alle false credenze, oppure una città nuova, governata dalla serietà dopo aver sconfitto i furfanti, degna di una storia rivoluzionaria e libertaria da troppe nefandezze sepolta ma in attesa di rinascere dalle sue nobili arche?

Alla fine della Storia ed implicitamente del Gioco, ricorrendo ad una audace e per taluni vetusta simulazione del significato intimo della parola Democrazia, cosa scegliamo noi cittadini?

L'autore è Professore ordinario di Letteratura italiana Dipartimento di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale