Un conto alla rovescia silenzioso. C’è una Campania che non urla, che non blocca le autostrade, che non appare nei talk show. È quella delle decine di comuni sotto i 5.000 abitanti, sparsi tra l’Irpinia, il Sannio e il Cilento interno. Luoghi bellissimi, antichi, pieni di chiese, palazzi, mulattiere, ma anche silenziosi, disabitati, dimenticati. Luoghi dove la natalità è crollata sotto il 6 per mille e dove il numero dei morti ogni anno è più che doppio rispetto ai nati. Secondo nuove stime demografiche, decine di piccoli comuni delle aree interne della Campania perderanno la capacità di sopravvivere entro 80-120 anni. E per molti il conto alla rovescia è già cominciato. Comuni come Cairano, Montaguto, Pietraroja, Serramezzana e tanti altri sono condannati a diventare entità vuote: resteranno le targhe, ma non ci saranno più bambini, scuole, né elezioni vere. Quando la popolazione scenderà sotto il 30% di quella attuale, sarà come spegnere la luce. I dati, comune per comune.
Quando finisce un paese?
Non serve arrivare allo zero per dichiarare morto un paese. Basta che resti il 30% della popolazione attuale per assistere al collasso: chiude la scuola, l’ambulatorio, l’ultimo negozio. I giovani se ne sono già andati, gli anziani restano soli. È la morte funzionale di una comunità. E secondo i nuovi calcoli demografici, i comuni sotto i 5.000 abitanti delle province di Avellino, Benevento e Salerno ci arriveranno in meno di un secolo. Alcuni, molto prima.
Avellino: la lunga agonia dell’osso interno
Nell’Irpinia più fragile, dove la montagna non è mai diventata turismo, l’esodo non si è mai fermato. Questi i comuni a rischio estinzione funzionale, con la stima degli anni mancanti:
Cairano (288 ab.) – 80 anni
Montaguto (332 ab.) – 80 anni
Petruro Irpino (301 ab.) – 80 anni
Candida (1.095 ab.) – 120 anni
Altavilla Irpina (3.848 ab.) – 130 anni
Qui si sopravvive per abitudine. Le madonne vengono portate in processione da pensionati. La scuola chiude per mancanza di bambini. I sindaci diventano curatori fallimentari del proprio paese.
Sannio: la memoria che non fa rumore
I comuni del Beneventano custodiscono un patrimonio immenso di cultura contadina, architettura storica e paesaggi intatti. Ma il destino non perdona.
Pietraroja (513 ab.) – 80 anni
Fragneto l’Abate (930 ab.) – 80 anni
San Bartolomeo in Galdo (4.892 ab.) – 130 anni
Morcone (4.952 ab.) – 130 anni
A Pietraroja, dove fu trovato il fossile del piccolo dinosauro Scipionyx, oggi non c’è più un negozio di giocattoli. A Fragneto, che fu patria di santi e briganti, i ragazzi vanno via e non tornano.
Cilento interno: bellezza e abbandono
Le montagne e le valli del Cilento non bastano più a trattenere la vita. Qui, la scomparsa ha il volto dei comuni-fantasma.
Valle dell’Angelo (229 ab.) – 70 anni
Serramezzana (267 ab.) – 70 anni
Romagnano al Monte (378 ab.) – 80 anni
Perito (1.002 ab.) – 100 anni
Laurino (1.440 ab.) – 100 anni
Valle dell’Angelo è il comune meno popoloso della Campania. Ma custodisce affreschi cinquecenteschi, una chiesa di pietra viva, una memoria che non ha eredi. Romagnano è rinato dopo il terremoto del 1980, ma l’emigrazione lo ha risprofondato nel silenzio.
I numeri non mentono. Ma non devono decidere tutto.
Se i tassi di natalità restano bassi (5-6‰) e quelli di mortalità restano alti (12-14‰), questi comuni scenderanno sotto la soglia del 30% in un tempo già misurabile. Anche senza emigrazione. Con emigrazione, il tempo si dimezza. Ma attenzione: non è scritto nella pietra. È il frutto di scelte politiche.
Di incentivi che non arrivano. Di infrastrutture che mancano. Di una rassegnazione collettiva che dura da troppo.
Cosa si perde davvero
Quando un paese muore, non muoiono solo le persone. Muoiono: gli affreschi nascosti nelle sagrestie, le parole irripetibili di un dialetto, il suono delle campane a mano, i sentieri che solo i vecchi sanno ancora percorrere. Si spegne una luce del paesaggio culturale italiano, che nessuna metropoli potrà mai ricreare. Serve una politica di rinascita. Le soluzioni esistono. Non si tratta di salvare tutto, ma di fare una scelta chiara: un sistema fiscale che premia chi resta, una scuola di qualità, anche per 12 bambini, il rilancio del turismo esperienziale, l’accesso alla sanità e al digitale.
Ma serve una politica. Serve uno Stato. Serve una visione.
L’alternativa è quella che il Governo, con un eufemismo crudele, chiama “eutanasia dei piccoli comuni”? Un modo per dire: lasciamo che spariscano. Conclusione: finché c’è una voce, c’è una speranza. I conti li abbiamo fatti. L’elenco c’è. Le stime sono drammatiche, ma ancora reversibili. Perché finché a Cairano qualcuno ancora accende la luce, finché a Valle dell’Angelo un anziano suona la campana, l’Italia autentica non è ancora finita. Ma ha bisogno di tutti noi, adesso. Non tra 100 anni.
