Camorra Capitale, l'Appello conferma: 30 anni a Mimì Pagnozzi

Oltre duecento anni di reclusione per i "Napoletani della Tuscolana". Anche il boss caudino.

San Martino Valle Caudina.  

 

di Andrea Fantucchio 

Camorra a Roma: oltre due secoli di carcere per ventuno persone, alcune prescrizioni e assoluzioni parziali per singoli capi di imputazione. Si è chiuso con questa sentenza il processo d’Appello a ventiquattro imputati, noti come i “Napoletani della Tuscolana”, che per la Procura avrebbero gestito alcune delle più importanti piazze di spaccio della periferia romana. Fra le figure di spicco dell’associazione criminale, il boss irpino, Domenico Pagnozzi, capo dell’omonimo clan, che dalla Valle Caudina ha esteso le sue ramificazioni anche nel napoletano e proprio a Roma.

Fra le accuse contestate a vario titolo agli imputati: l'associazione mafiosa e quella finalizzata al traffico illecito di droga, estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce.

In primo grado erano state pronunciate sentenze per oltre trecento anni, con otto assoluzioni. Oggi ci sono stati degli “sconti”, motivati con assoluzioni e prescrizioni relativi a singoli capi di imputazione. Domenico Pagnozzi, difeso dall'avvocato Dario Vannetiello, ha visto confermati i 30 inflitti in primo grado, 24 anni per Massimiliano Colagrande, 21 per Antonio Calì, 18 e 11 mesi per Stefano Fedeli, 18 e 10 mesi per Marco De Rosa, 16 anni e 8 mesi per Marco Pittaccio e 14 anni per Claudio Celano. Tutte le altre condanne sono comprese fra i 9 e i 4 anni di reclusione. Tre le assoluzioni.

Il processo è nato da una indagine della Procura romana delegata al nucleo investigativo che, nel 2015, aveva smantellato la presunta organizzazione a delinquere gestita da Pagnozzi, anche noto come 'o professore: boss di indiscusso carisma, rispettato anche fuori dai confini campani. Per la Procura gli imputati si occupavano di organizzare le attività criminali nel sud-est di Roma: per lo più spaccio di droga, ma anche estorsioni e intimidazioni per la gestione del territorio. Oltre a diversi “racket paralleli”: come quello delle slot machine che sarebbero state imposte a diverse attività della zona Tuscolana-Cinecittà. Una serie di intercettazioni e testimonianze, raccolte dagli investigatori, avevano incastrato gli imputati. Dopo la sentenza di oggi molti di loro ricorreranno in Cassazione.