di Paola Iandolo
La Suprema Corte, IV sezione penale, in accoglimento delle ragioni giuridiche formulate dal cassazionista Dario Vannetiello, ha clamorosamente annullato l’ordinanza con la quale la Corte di appello di Napoli aveva rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione formulata da Anna Maria Rame. Il recente annullamento è stato preceduto alcuni anni fa da un'altra sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, emessa in data 24.06.2018 con la quale fu annullata la sentenza di condanna di Rame Anna Maria ad anni 12 di reclusione, seguita poi anche da una definitiva assoluzione in sede di giudizio di rinvio in data 17.01.2019. La donna era accusata di aver sostituito il marito Domenico Pagnozzi nella direzione del clan, operante, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, sia nelle province di Benevento ed Avellino che nella città di Roma, accusa poi franata nel corso degli anni grazie al lavoro della difesa, sempre rappresentata dall’avvocato Dario Vannetiello.Secondo la Corte partenopea ad impedire il risarcimento dello Stato sarebbe stata la condotta gravemente colposa posta in essere dalla donna, la quale avrebbe comunicato con altri ritenuti sodali mediante numerosi messaggi criptici, oltre ad avere plurimi rapporti di frequentazione con persone poi ritenute appartenenti al clan.
L’invocato risarcimento è relativo ad un periodo carcerario molto consistente, pari ad a 2 anni, 8 mesi e 15 giorni di detenzione ingiustamente patita, in relazione al quale la difesa ha formulato richiesta di risarcimento pari a 232.282,70, per i soli giorni di detenzione carceraria subita, somma alla quale andrebbero ad aggiungersi gli ulteriori danni di natura morale, sociale e psichica che la carcerazione ha prodotto, oltre al nocumento subito dalla società Premier Energy, che all’epoca era guidata dalla Rame. Tale società, oggetto di sequestro da parte del Tribunale di Roma, fu successivamente anche restituita dal medesimo Tribunale di Roma alla moglie boss alla luce della perfetta regolarità della attività. Sulla richiesta di risarcimento, a seguito dell’annullamento disposto dalla cassazione, dovrà decidere un diverso collegio della Corte di appello di Napoli.Va ricordato che, agli inizi degli anni 2000, la donna già fu tratta in arresto con l’accusa di intraneità al clan Pagnozzi, ma fu all’epoca immediatamente rimessa in libertà dal Tribunale del riesame Napoli, poi assolta già in primo grado ed infine anche risarcita.
