Caso Alessia Pifferi, un avvocato beneventano per una delle psicologhe indagate

Milano. Interrogata, non ha risposto. Sott'inchiesta anche una sua collega e il difensore imputata

caso alessia pifferi un avvocato beneventano per una delle psicologhe indagate

Pifferi è accusata di aver lasciato morire di stenti, nel luglio 2022, la figlia Diana che aveva un anno e mezzo, abbandonandola in casa per sei giorni

Benevento.  

 

C'è l'avvocato Angelo Leone, di Benevento, tra i difensori – l'altro è Priscilla Maione – di una delle due psicologhe del carcere di San Vittore indagate dalla Procura di Milano, per falso e favoreggiamento, al pari dell'avvocato Alessia Pontenani, legale di Alessia Pifferi (nella foto), 37 anni, accusata di aver lasciato morire di stenti, nel luglio 2022, la figlia Diana che aveva un anno e mezzo abbandonandola in casa per sei giorni.

Si tratta di un caso che da mesi occupa le cronache nazionali, al centro di un'inchiesta che negli ultimi giorni ha fatto registrare due novità clamorose: la chiamata in causa delle due psicologhe e del difensore - l'avvocato Alessia Pontenani- dell'imputata, e la rinuncia all'incarico da parte della Pm che co-dirigeva l'inchiesta, perchè non sarebbe stata avvertita sulle mosse del collega. Secondo il quale, le due psicologhe, i cui colloqui con la detenuta sono stati intercettati per un paio di mesi, avrebbero contribuito a creare i presupposti clinici per consentire all'avvocato di Pifferi di chiedere alla Corte d’Assise, dinanzi alla quale è in corso il processo, una perizia mentale per la donna.

Gli avvocati Leone e Maione, in particolare, difendono Letizia Marazzi, che nel tardo pomeriggio è comparsa in Procura, a Milano, per un interrogatorio. Anche lei, così come Paola Guerzoni, si è avvalsa della facoltà di non rispondere, rilasciando una breve dichiarazione con la quale ha spiegato che la sua vita è stata sconvolta, che non intende più prestare attività lavorativa nelle case circondariali, e che si riserva di chiedere di essere interrogata successivamente.

Sulla situazione, dopo la Camera penale e l'Ordine forense di Milano, è intervenuto il Consiglio dell’Ordine degli psicologi della Lombardia che, pur non entrando nel merito della vicenda, ha espresso “il sentimento di stupore e di preoccupazione che suscita la notizia, in coerenza col nostro dovere di vigilanza del titolo professionale e in considerazione delle condizioni di lavoro degli psicologi che operano nelle Carceri, cui va oggi la nostra attenzione e vicinanza.
L’azione inquirente – per come i media la rappresentano e l’amplificano- potrebbe tuttavia, rischiare di compromettere la serenità dei professionisti nostri colleghi e iscritti che operano presso i presidi sanitari del sistema penitenziario, con pregiudizio per un servizio delicato, esercitato con passione, competenza e pochi riconoscimenti”.
Per questo, “è nostro dovere seguire con interesse e attenzione gli sviluppi della vicenda procedimentale, con l’auspicio che l’attenzione mediatica, in mancanza di riscontri certi, non comprometta la reputazione delle colleghe coinvolte e di tutte le psicologhe e gli psicologi che operano a tutela del benessere psicologico dei detenuti e del personale delle Carceri italiane”.