Sono tornati dinanzi al Tribunale issando cartelli e striscioni per “chiedere giustizia”. Genitori, fratelli ed amici di Antonio Pagnano, 26 anni, di Colle Sannita, morto il 5 febbraio 2020 dopo più interventi chirurgici, si sono nuovamente ritrovati questa mattina, a distanza di circa due mesi, in via De Caro, in concomitanza con la camera di consiglio fissata dinanzi al gip Roberto Nuzzo dopo l'opposizione alla proposta di archiviazione – la seconda - avanzata dalla Procura rispetto all'inchiesta sul decesso del giovane a carico di due medici.
In aula le posizioni si sono ulteriormente cristallizzate: le parti offese, rappresentate dagli avvocati Antonio Leone e Francesco Del Grosso hanno insistito per l'imputazione coatta degli indagati, gli avvocati Angelo Leone e Vincenzo Sguera perchè venga scritta la parola fine per i loro assistiti: un chirurgo ed un radiologo della Nuova clinica Santa Rita. Parola ora al giudice, che dovrà decidere se archiviare o ordinare al Pm di formulare la richiesta di rinvio a giudizio.
E' una storia di cui ci siamo occupati ripetutamente. Era cominciata il 29 novembre 2019, quando Antonio era stato operato presso la Nuova Clinica Santa Rita per la rimozione di un “linfangioma cavernoso retroperitoneale”. Erano sorte delle complicazioni, il 3 dicembre era stato sottoposto ad un ulteriore intervento, poi il giorno seguente era stato trasportato dal 118 al Rummo, dove era rimasto ricoverato fino al 5 febbraio 2020, quando il suo cuore aveva smesso di battere per sempre nonostante altri interventi praticati per cercare di salvarlo.
La denuncia dei genitori aveva innescato l'avvio di una indagine, il pm Maria Colucci aveva affidato ai dottori Lamberto Pianese ed Osvaldo Micera l'incarico di valutare le cartelle cliniche, poi aveva nominato i dottori Arianna Giovannetti ed Andrea Balla dopo le osservazioni del professore Alessandro Dell'Erba, consulente, al pari del dottore Francesco Venneri, delle parti offese. Il passo successivo era stata la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm perchè “l'ipotesi accusatoria prospettata, di un possibile errore medico quale causa (anche solo concorrente) del decesso non ha trovato nel corso delle indagini sufficienti riscontri, non avendo fornito gli accertamenti tecnici disposti ed eseguiti sulla documentazione elementi in grado di fondare una prognosi di favorevole esercizio dell'azione penale”.
Le valutazioni dei Consulenti delle parti offese
Valutazioni contrastate dalle parti offese perchè gli specialisti del Pm hanno “riconosciuto la non conformità del comportamenti assistenziali dei sanitari della clinica, evidenziando due eventi avversi collegati casualmente con il decesso, entrambi risalenti al primo intervento: la fissurazione all'arteria mesenterica superiore e la perforazione del duodeno terminale, ma “escludono profili di rilievo penalistico”. Anche i secondi consulenti “evidenziano la sussistenza di un nesso casuale esclusivo tra le procedure chirurgiche e il decesso, ma inspiegabilmente non riconoscono elementi di censura nell'operato dei sanitari”. Che, al contrario, vengono invece rilevati dai consulenti della famiglia del giovane, secondo i quali è evidente il presunto “carattere negligente, imprudente e imperito delle condotte dei sanitari che hanno avuto in cura Antonio alla Santa Rita”. Nel mirino “il mancato approfondimento dell'entità delle possibili e prevedibili complicanze legate alla patologia (di estrema rarità) e della “conseguente”, presunta “inidoneità della Santa Rita al trattamento di tale patologia, in quanto priva di un reparto di rianimazione e di specialisti di chirurgia vascolare”. Attenzione puntata, inoltre, sulla presunta “marchiana sottovalutazione dei sintomi delle complicanze operatorie, che avrebbero comunque imposto il trasferimento del paziente, già subito dopo il primo intervento, presso una struttura idonea.. Sintomi evidenti già dopo il primo intervento”.
