Suolo montano: a Pietraroja agronomi senza frontiere

Il workshop si è tenuto nel Sannio negli ultimi giorno

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Pietraroja.  

La qualità del suolo montano dell'area del Titerno tende a variare in correlazione all'uso del terreno in altitudine ed all'aggressività delle acque di ruscellamento. In particolare, laddove i terreni dedicati al pascolo non subiscono l'erosione delle acque, è in evidenza una maggiore presenza di suolo con rilevante quantità di materia organica, indispensabile per una proficua attività agricola e zootecnica.
E' il risultato del secondo "workshop montano" a Pietraroja, nell'ambito del progetto "Re.Qual.Sol. - Recuperare e Salvaguardare la Qualità dei Suoli", elaborato dall'"Associazione Agronomi Senza Frontiere della Campania". L'evento si è svolto in località Colle della Corte, in collaborazione con le aziende agricole partner del progetto: Colantone Giuseppe Antonio, Cusanelli Antonio, Ialacci Angelo e Maturo Giuliano. Il programma è sostenuto dal Gal Titerno-Alto Tammaro e finanziato dalla Regione Campania.
 Anche questo workshop, come i precedenti, si è caratterizzato per le specifiche esercitazioni pratiche di analisi del suolo, effettuate sul campo e coordinate dai professionisti agronomi dell'associazione. Sono state contestualmente rilevate e valutate le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dei campioni di terreno prelevati.
 Al simposio divulgativo in materia, coordinato dal giornalista Michele Miky Di Maina, sono intervenuti: Alessio Valente, docente di Geologia presso l'Unisannio e responsabile tecnico scientifico del progetto Re.Qual.Sol.; Ettore Varricchio, presidente del corso di laurea magistrale in Biologia-Risorse alimentari e nutrizione presso l'Unisannio; per l'associazione "Agronomi senza frontiere della Campania", il presidente Massimo Palladino e i consulenti tecnici Michele Bucciero, Carmen Cenicola, Giuseppe Martuccio, Walter Nardone e Serafino Ranauro.
Il professor Valente ha riferito che dalle prime analisi visive dei campioni prelevati entro le "trincee", sono risultate differenze sia tra i suoli della medesima area che fra questi e quelli del precedente workshop.
 
«In questa occasione - ha spiegato il docente dell'Unisannio -, abbiamo effettuato due "trincee", in una zona di Pietraroja a minore quota di quella in cui avevamo precedentemente operato. E, dunque, abbiamo notato che in quest’area, a parità del calpestio dei bovini, è migliore la qualità del suolo, almeno in una "trincea". La migliore qualità si valuta visivamente in riferimento allo spessore della porzione superficiale, ricco di nutrienti di tipo organico. In realtà, una qualità del suolo leggermente minore è stata riscontrata nell’altra "trincea", dove si rilevano altresì in superficie tracce causate da fenomeni di erosione delle acque ed un ridotto sviluppo della vegetazione da pascolo». 
Il responsabile tecnico scientifico del progetto Re.Qual.Sol. ha quindi evidenziato l'importanza per gli allevatori di tener conto di queste differenti condizioni, aggravate verosimilmente dai cambiamenti climatici, «affinché dalle loro attività zootecniche essi possano ricavare la massima efficacia ed efficienza produttiva».