Disoccupazione: nel Sannio dati tragici. "Serve nuovo corso"

Maiella, giuslavorista: "Senza investimenti e riforme il Sannio è destinato ai libri di storia..."

Benevento.  

I dati dell'osservatorio statistico dei consulenti del Lavoro, su Mezzogiorno e aree interne sono catastrofici: occupazione al palo, pochi investimenti, quota altissima di Neet.
Per approfondire questi dati abbiamo chiesto al giuslavorista Antonio Maiella, Consulente del Lavoro laureato in Relazioni Sindacali e in Giurisprudenza, ha conseguito il diploma di Master in Direzione e Management delle Aziende Sanitarie. Esercita la Libera Professione in Milano e in Benevento.
 

95Esima per tasso di occupazione (41,6 per cento), disoccupazione giovanile al 60 per cento (tra le più alte d'Italia): per Benevento serve un'inversione di tendenza, e Maiella lo conferma: “Per Benevento e per il Mezzogiorno servirebbe un «nuovo corso». Un piano di riforme economiche e sociali promosso dal Governo Nazionale, di concerto con gli Enti Territoriali, per risollevare le aree economicamente depresse del Paese. So bene che è un po’ come aprire il libro dei sogni, ma le aree interne necessitano, così come ben evidenziato dallo studio di settore da Lei citato, di ingenti investimenti nel comparto delle infrastrutture e delle tecnologie”.

 

Perché quei dati riflettono altro: la sconnessione alle aree più industrializzate, costi del lavoro elevati ed altri limiti che non invogliano gli imprenditori ad investire, come conferma il giuslavorista: “Dobbiamo connettere il Sud alle aree più industrializzate, saldarlo agli snodi strategici delle merci e facilitare quindi il trasporto di persone e beni. Servirebbe, poi, pensare ad un piano di abbattimento del costo del lavoro per gli imprenditori virtuosi che decidono di spostare i propri insediamenti produttivi nelle aree depresse del Sud dell’Italia, al fine di ridurre ai minimi termini le rinunce imprenditoriali di investitori italiani ed esteri. Tra il 2000 e il 2018, ad esempio, 364 aziende italiane sono state rilevate da player francesi, per un totale di 73 miliardi di euro. Dubito che qualche centesimo sia finito nelle casse dei territori del Mezzogiorno. Tutto ciò accade anche perché i problemi di logistica implicano moltissime altre difficoltà inerenti alla consegna e al ritiro dei prodotti e delle materie prime. Il trend non migliora se pensiamo ai problemi di gestione delle strutture aziendali, spesso obsolete e tendenzialmente a conduzione familiare e dunque chiuse ad ogni innovazione in termini manageriali e strutturali”.

La fragilità industriale del Mezzogiorno e delle aree interne, dunque, in un momento di difficoltà sta venendo fuori con prepotenza, mettendo a nudo i tanti, troppi problemi. Sul tema infatti Maiella analizza: “ Purtroppo, a mio avviso, i territori senza un solido tessuto industriale sono destinati ai libri di storia. Le industrie sono un moltiplicatore economico per chi vi lavora, per i fornitori dell’indotto e per i cittadini dei luoghi interessati. Investire nella cultura è una operazione socialmente edificante e lodevole, una società evoluta ha l’obbligo morale di favorire la contaminazione culturale ma, ahimè, la partita contro la desertificazione territoriale non la si vince soltanto con la bellezza dell’arte serve anche, se non soprattutto, il sudore delle maestranze e l’ingegno dei cervelli, oggi, in fuga verso il nord o, addirittura, in viaggio verso le altre nazioni dell’area Euro”.

Non c'è dubbio dunque, neppure per Maiella, che sul sud e sulla competitività l'Italia si gioca il futuro: “Su questi temi i governanti si giocano il futuro del nostro Paese perché un’Italia senza la forza propulsiva delle aree del centro sud non può reggere, nel medio termine, all’impatto di una economia, indomita e globalizzata”.  

Il consulente del lavoro qualche tempo fa analizzò anche il reddito di cittadinanza, non demonizzandolo come altrove, ma spiegando che di certo non era la soluzione di tutti i mali: “Ho difeso il Reddito di Cittadinanza inteso come virtuoso strumento di giustizia sociale. Come argine al liberismo amorale e all’ illusione della crescita infinita. Devo dire che è stato un ottimo analgesico ma, ora, la politica deve trovare una cura strutturale all’annosa questione Meridionale. Lo Stato deve investire ingenti risorse per fortificare il tessuto socioeconomico delle aree interne e, nel contempo, deve elaborare dei punti strategici per favorire l’immissione di capitali privati nel depresso circuito industriale del Sud. Le forze sociali, dal canto loro, devono abbandonare il modello conflittuale tipico degli anni settanta del secolo scorso e fare fronte comune a difesa del ‘bene lavoro’. Lavoro inteso, però, nell’accezione più luminosa del termine, ossia come patrimonio dell’Uomo. I sindacati, a mio avviso, devono quindi avviare un processo di sintesi degli interessi collettivi e non, come sovente accade, opporre una strenua difesa dei singoli interessi individuali, perché dove vi è un saldo sistema di relazioni Industriali (e quindi un alto tasso di copertura contrattuale collettiva), non vi è necessità del Salario Minimo Legale. O meglio, si renderebbe indispensabile soltanto nei settori marginali esterni al sistema di relazioni sindacali. Ritengo, comunque, che l’introduzione del salario minimo legale porterebbe le forze sindacali alla insignificanza sociale. Non è da sottovalutare nemmeno il potenziale aumento del Costo del Lavoro, nel caso il salario minimo dovesse diventare legge: il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei CdL ha stimato un aumento diretto del costo del lavoro di 5, 5 miliardi di euro. 4 milioni i lavoratori ai quali adeguare la retribuzione”.

 Se tutti gli ingredienti dunque, venissero dosati, miscelati e preparati alla perfezione, si dovrebbero comunque aspettare tempi piuttosto lunghi per apprezzare il prodotto finale: “ Ci vorranno anni e risorse rilevanti per rendere competitivo il Mezzogiorno d’Italia. Alla politica il compito di cercare e di stanziare i finanziamenti pubblici per le aree depresse del territorio italiano. Ai cittadini, invece, l’ardua sentenza “.