La figura dell’indagato e il peso del cognome. Ivan Belforte, 22 anni, porta un cognome che in Campania evoca una lunga e sanguinosa stagione criminale. Nipote di Domenico e Salvatore Belforte, noti capi dell’omonimo clan camorristico radicato a Marcianise e nei comuni limitrofi, è stato arrestato dalla Polizia di Stato con l'accusa di violenza sessuale aggravata dal metodo mafioso. L’ordinanza è stata emessa dal Gip del Tribunale di Napoli Nord su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, che coordina le indagini.
L'accusa di violenza sessuale e il contesto mafioso
Secondo la ricostruzione degli investigatori della Squadra Mobile di Caserta, i fatti risalgono a marzo scorso e si sono verificati a San Marco Evangelista. Il giovane avrebbe inizialmente consumato un rapporto sessuale a pagamento con una donna straniera, per poi costringerla con la forza ad avere un ulteriore rapporto, abusando del suo nome e del potere criminale della famiglia per intimidirla. L’episodio, già grave, assume un contorno ancora più inquietante a causa del riferimento esplicito al “peso” mafioso del proprio cognome, elemento che ha fatto scattare l’aggravante prevista dall’articolo 416 bis.1 del codice penale.
L’aggressione per il cellulare e le minacce
Dopo l’aggressione, Belforte si è allontanato frettolosamente ma ha dimenticato il proprio cellulare nell’auto della vittima. Tornato a cercarlo, ha preteso la restituzione del telefono e ha colpito la donna con pugni e schiaffi, causandole un trauma al volto. Durante l’aggressione avrebbe anche minacciato la vittima alludendo al possesso di un’arma da fuoco, nel tentativo di farla desistere dal denunciare l’accaduto. Ma la donna ha avuto la forza di rivolgersi subito alle forze dell’ordine, dando così avvio a un’indagine che ha portato all’identificazione e all’arresto del giovane.
Precedenti penali e misura cautelare
Ivan Belforte non è nuovo alle cronache giudiziarie: ha precedenti per estorsione, rapina e reati connessi al traffico di stupefacenti. Attualmente si trova agli arresti domiciliari, con l’applicazione del braccialetto elettronico. Una misura che tiene conto della sua pericolosità, ma anche della necessità di monitorare con precisione ogni suo spostamento. La procura antimafia continua a indagare per comprendere se dietro il singolo episodio di violenza vi siano ulteriori connessioni con le attività del clan e una possibile rete di intimidazione sul territorio.
