Un documento riservato, lungo 22 pagine e in continuo aggiornamento, sta per segnare una svolta storica nell’organizzazione dell’assistenza primaria in Italia. Attualmente, i medici di medicina generale operano come liberi professionisti, remunerati dal Servizio sanitario nazionale (SSN) e con la libertà di gestire autonomamente il proprio tempo e le modalità operative. Tuttavia, le richieste avanzate dallo Stato e dalle Regioni, se non incanalate attraverso accordi sindacali, rischiano di rimanere inascoltate, come già accaduto durante la gestione dei tamponi nel periodo Covid.
Dal Libero Professionista al Dipendente del SSN
La proposta di riforma, sostenuta dal ministro della Salute Orazio Schillaci e dai rappresentanti delle Regioni, prevede che i nuovi medici di base diventino dipendenti del Servizio sanitario nazionale, analogamente a quanto già avviene nel settore ospedaliero. Questo passaggio è ritenuto fondamentale per garantire il corretto funzionamento delle 1.350 Case della Comunità, infrastrutture strategiche realizzate grazie ai 2 miliardi del Pnrr, che mirano a offrire un’assistenza sanitaria più capillare ed efficiente.
Le tre innovazioni tenute riservate
Rapporto d’impiego obbligatorio: L’attività di assistenza primaria, sia in medicina che in pediatria, dovrà essere svolta in un contesto di rapporto d’impiego, superando l’attuale configurazione della libera professione.
Fine del rapporto di libera collaborazione per i nuovi ingressi: Il legame tra il SSN e i medici di base che non assumono il nuovo status di dipendenti verrà progressivamente dismesso. I medici attualmente in servizio potranno scegliere se mantenere la libera professione o passare al contratto da dipendente.
Attività organizzata e capillare: I medici saranno chiamati a operare sia nei tradizionali studi che nelle nuove Case della Comunità, garantendo così un servizio continuo e disponibile a tutti i cittadini. In queste strutture, oltre al medico di base, saranno presenti specialisti in grado di effettuare esami diagnostici quali elettrocardiogrammi, ecografie e spirometrie.
Il ricambio generazionale
L’urgenza della riforma si evidenzia anche dal profilo demografico della categoria: il 77% dei medici di famiglia ha più di 55 anni e, secondo le stime, tra il 2025 e il 2030 circa 10.000 dei 37.000 medici attivi andranno in pensione. In questo contesto, la prospettiva del contratto da dipendente sembra particolarmente appetibile per le nuove leve, come confermato da un recente sondaggio in cui il 49% dei neomedici ritiene che il nuovo modello possa migliorare le proprie condizioni lavorative.
Il nuovo modello di assistenza e organizzazione
La bozza di riforma prevede un impegno settimanale di 38 ore per ogni medico di base, con una ripartizione specifica in funzione del numero degli assistiti:
Fino a 400 assistiti: 38 ore complessive, di cui 6 direttamente dedicate all’assistenza personale.
Tra 401 e 1.000 assistiti: 12 ore da destinare agli assistiti.
Da 1.001 a 1.200 assistiti: 18 ore dedicate agli assistiti.
Da 1.201 a 1.500 assistiti: 21 ore dedicate agli assistiti.
Oltre 1.500 assistiti: 24 ore da destinare agli assistiti.
Questo schema implica che il medico non si dedicherà esclusivamente ai propri pazienti, ma parteciperà attivamente alla programmazione territoriale, offrendo così un supporto sanitario più integrato e continuo. Le Case della Comunità, unitamente ad altri ambulatori pubblici messi a disposizione dalle Regioni, diventeranno i punti nevralgici per assicurare un’assistenza capillare, anche nei comuni più piccoli.
Innovazioni nel percorso formativo
Un altro punto di svolta riguarda la formazione dei nuovi medici di medicina generale. Il decreto legislativo attualmente in vigore (DL 368/1999) sarà sostituito da un corso specialistico quadriennale, con docenti qualificati e in linea con gli standard delle specializzazioni ospedaliere. Contestualmente, la borsa di studio, attualmente di 11.500 euro annui, potrebbe essere adeguata a livelli comparabili a quelli delle altre specializzazioni, intorno ai 26.000 euro l’anno.
Resistenze e ostacoli alla Riforma
Nonostante i vantaggi teorici, il percorso verso il nuovo modello non sarà privo di difficoltà. Una delle principali resistenze proviene dall’Enpam, l’ente previdenziale che attualmente raccoglie i contributi dei medici di base in libera professione. Se i nuovi medici dovessero diventare dipendenti del SSN, sarebbero tenuti a versare contributi all’Inps, modificando radicalmente l’attuale sistema. Tale cambiamento preoccupa non solo l’Enpam, che vanta un patrimonio superiore a 25 miliardi di euro, ma anche diverse organizzazioni di categoria. Sia la Fimmg, che rappresenta il 63% dei medici di base, sia la Fnomceo, esprimono riserve sulla transizione, preoccupati per la possibile perdita di autonomia e per le implicazioni economiche.
Il documento di riforma, pur mantenendosi riservato e suscettibile di continui aggiornamenti, rappresenta un tentativo ambizioso di modernizzare l’assistenza territoriale in Italia. La sfida per il governo e il ministro Schillaci sarà quella di conciliare le esigenze di un sistema sanitario in evoluzione con le resistenze di una categoria che, sebbene consapevole della necessità di rinnovamento, teme per i cambiamenti strutturali e per le ripercussioni economiche. Solo il tempo dirà se questo nuovo modello potrà davvero garantire un’assistenza più efficiente e capillare per tutti i cittadini, in un’epoca in cui il ricambio generazionale impone innovazioni urgenti.