Il silenzio di una stanza chiusa, il bagliore di uno schermo acceso nella notte, il suono monotono di tasti premuti con ossessione: dietro quella porta, il mondo si ferma. Nessuna voce, nessun contatto, solo una solitudine che diventa abisso. È la realtà degli Hikikomori, giovani che scelgono – o sono costretti – a isolarsi dalla società, rinunciando a scuola, lavoro, amicizie. In Italia sono almeno 100mila, ma il numero potrebbe essere molto più alto, sfuggendo alle statistiche ufficiali. Oggi, alla Camera, si è discusso di loro in un incontro promosso dal Movimento 5 Stelle e dall’associazione Hikikomori Italia, per chiedere attenzione e azioni concrete da parte delle istituzioni.
Un isolamento profondo e invisibile
Il termine Hikikomori, di origine giapponese, significa letteralmente “stare in disparte”. Il fenomeno, esploso in Giappone con oltre un milione e mezzo di casi, è ormai diffuso anche in Italia, dove si registra una crescita costante. Questi ragazzi non frequentano la scuola, non lavorano, non hanno vita sociale. Esistono solo all’interno della loro stanza, dove il mondo esterno si riduce allo schermo di un computer. Internet diventa l’unico legame con la realtà, mentre il corpo e la mente si immergono in un vuoto che si prolunga per mesi, a volte anni.
Le cause di questo ritiro sono molteplici: ansia da prestazione, bullismo, incomprensione familiare, aspettative sociali schiaccianti. La società impone standard elevati e competitivi, che questi giovani percepiscono come ostili e insostenibili. La paura del fallimento li paralizza, portandoli a chiudersi in un universo fatto di solitudine e silenzio.
Il dramma delle famiglie: tra impotenza e pregiudizi
Per i genitori, affrontare un figlio Hikikomori è una sfida devastante. Spesso l’isolamento viene confuso con pigrizia o ribellione adolescenziale, mentre in realtà nasconde una profonda sofferenza. La presidente di Hikikomori Italia Genitori, Elena Carolei, ha sottolineato quanto sia difficile per le famiglie ottenere supporto e comprensione: la società si aspetta che siano i genitori a risolvere il problema, senza fornire strumenti adeguati.
Uno degli ostacoli principali è la scuola, che spesso reagisce con bocciature e sanzioni per le assenze, aggravando il senso di esclusione di questi ragazzi. Anche nel mondo del lavoro mancano percorsi di inserimento adatti a chi ha difficoltà a relazionarsi con l’esterno. “Bocciare non serve – ha detto Carolei – bisogna costruire soluzioni su misura”.
Dalla solitudine alla speranza: come intervenire
Il percorso per uscire dall’isolamento è lungo e complesso. Secondo gli esperti, spingere un ragazzo Hikikomori a reagire con forza è controproducente: l’ansia e la pressione peggiorano la situazione. La chiave sta nell’ascolto e nella comprensione, ricostruendo un rapporto di fiducia con la famiglia prima ancora di pensare al reinserimento sociale.
Lo psicologo Marco Crepaldi, presidente di Hikikomori Italia, ha evidenziato che il fenomeno è sottostimato nei dati ufficiali: gli studi parlano di 50-60mila casi solo tra gli adolescenti, ma il numero reale è sicuramente più alto. Molti giovani, infatti, scompaiono completamente dai radar della società, diventando “fantasmi” nelle proprie case.
Per prevenire situazioni croniche, serve un intervento precoce. Crepaldi ha descritto tre fasi progressive dell’isolamento:
Fase 1 – I ragazzi evitano attività extrascolastiche ma continuano a frequentare la scuola.
Fase 2 – Abbandonano la scuola o il lavoro, smettendo di uscire e riducendo i contatti.
Fase 3 – Si chiudono completamente, vivendo in una condizione di isolamento totale.
Le richieste alla politica: prevenzione e supporto
Durante la conferenza alla Camera, il capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura, Antonio Caso, ha denunciato l’inerzia delle istituzioni. Lo scorso anno la Camera ha approvato mozioni per affrontare il fenomeno, ma di misure concrete ancora non se ne vedono. “Servono politiche di prevenzione e sostegno – ha dichiarato Caso – perché se non interveniamo ora, rischiamo di trovarci tra qualche anno nella stessa situazione del Giappone, con persone isolate da decenni”.
Una delle proposte sul tavolo è la creazione di un protocollo tra scuole, istituzioni e associazioni, per individuare tempestivamente i primi segnali di isolamento e intervenire prima che la situazione diventi irreversibile. In Giappone, il problema è ormai esteso anche agli adulti: si parla della sindrome 50-80, con Hikikomori cinquantenni ancora dipendenti da genitori anziani. Un destino che l’Italia deve evitare.
Uscire dall’ombra: una battaglia di consapevolezza
Il contributo dei media è fondamentale per accendere i riflettori su questo problema. La giornalista Rajae Bezzaz, inviata di Striscia la Notizia, ha evidenziato come la pressione sociale spinga molte persone a chiudersi in se stesse, incapaci di sostenere un mondo sempre più esigente e competitivo. Se in Giappone l’isolamento viene visto talvolta come un percorso di autoanalisi, in Italia il rischio è quello di un oblio senza ritorno.
Aprire quella porta non è facile, ma non è impossibile. Servono percorsi di ascolto, sostegno mirato e una società più accogliente. Perché ogni Hikikomori non è solo un numero nelle statistiche, ma una storia che attende ancora un finale diverso, una nuova possibilità di luce oltre il buio dell’isolamento.
