Addio a Giorgio Forattini: talento e ironia al servizio della satira

Giorgio Forattini (1931-2025): il disegno che scavava il potere, tra risata e denuncia

addio a giorgio forattini talento e ironia al servizio della satira

È scomparso oggi all’età di 94 anni, figura centrale della satira politica italiana: dalle prime strisce agli anni del quotidiano, ha tracciato con tratto pungente il profilo dei protagonisti della Prima e della Seconda Repubblica

La morte di Giorgio Forattini non è soltanto la scomparsa di un grande disegnatore: è la fine di un modo irripetibile di guardare il potere. Aveva il dono di unire l’ironia alla precisione chirurgica, la risata alla condanna. Non apparteneva a una corrente né a un partito, ma a una categoria quasi estinta: quella degli artisti liberi. La sua matita non cercava consenso, ma chiarezza. Il segno era rapido, ma la riflessione dietro era profonda. Ogni vignetta era una radiografia del Paese, un referto che sapeva dove mettere il bisturi. Forattini non faceva satira per alleggerire la giornata dei lettori, ma per appesantire le coscienze di chi aveva troppo potere. Il suo talento era quello di chi capisce che l’ironia, quando è vera, non consola: illumina, svela, ferisce.

Il ritratto impossibile dell’Italia

Dalla Prima Repubblica fino alle metamorfosi del presente, Forattini ha costruito un gigantesco album di famiglia dell’Italia politica, una galleria di ritratti deformati ma più veri del vero. Andreotti, Craxi, Berlusconi, D’Alema, Prodi, Salvini: tutti finirono nel suo specchio, e nessuno ne uscì illeso.
Il segreto era nella deformazione intelligente. Il suo era un modo di dire “questo è il potere, guardatelo bene”, e di restituirlo in una forma che ne cancellava ogni presunta dignità. Un viso allungato, un naso impossibile, un sorriso ambiguo: bastavano poche linee per dire ciò che un editoriale non avrebbe mai potuto permettersi. Eppure non era solo ironia: era moralità laica, senso civico, indignazione educata dal disegno. Forattini non “ridicolizzava” i potenti: li restituiva alla loro dimensione terrena, spogliandoli del teatro e riconsegnandoli alla realtà.

L’autore che non volle mai essere “vignettista”

Ridurre Giorgio Forattini a “vignettista” è come definire Caravaggio “un bravo pittore di luci”. Forattini non illustrava la notizia: la generava.
Ogni sua immagine era una sintesi, un’analisi politica tradotta in simboli e segni. Era un giornalista del tratto, un cronista visivo che raccontava le contraddizioni del Paese senza mai cedere all’ovvietà. Dietro quella satira apparente c’era un senso del ritmo, del linguaggio e della scena teatrale. Forattini costruiva le sue vignette come se fossero piccoli atti unici: entrata, battuta, finale. Il tutto in uno spazio minimo, dove ogni segno aveva il peso di una parola pronunciata in pubblico.

L’uomo dietro la matita

Chi lo ha conosciuto racconta di un uomo schivo, ma non distante; ironico, ma non compiaciuto. Parlava poco, ma disegnava come se volesse dire tutto. E in effetti, nei suoi disegni, c’era la voce di un’intera generazione di lettori cresciuti tra il disincanto e l’abitudine al potere.
Non cercava l’applauso, eppure lo riceveva. Non temeva le polemiche, anzi le considerava parte del mestiere. Diceva spesso che “la satira non è un’arte per amici”, e forse è proprio questo il segno più grande della sua libertà. Oggi che se ne va, l’Italia si accorge che Forattini non era un orpello del giornale ma una bussola. Le sue vignette, lette a distanza di decenni, sono ancora attuali perché parlano di vizi eterni: arroganza, ipocrisia, complicità. È come se la sua matita avesse disegnato non solo i volti dei politici, ma anche i contorni di un popolo intero. Con la stessa ironia con cui sorrideva del potere, Forattini rideva anche di noi, dei nostri compromessi, del nostro talento per indignarci e dimenticare in fretta.

Il segno che resta

C’è una grande differenza tra chi disegna e chi lascia un segno. Forattini appartiene alla seconda categoria. La sua eredità è un archivio sterminato di immagini che non invecchiano, perché raccontano l’Italia più profonda, quella che cambia faccia ma non sostanza. E c’è, in ogni tratto, un invito implicito: non accontentarsi mai di guardare solo la superficie. Forattini se n’è andato, ma il suo sguardo resta inciso nella nostra memoria collettiva. In un tempo in cui la satira si consuma sui social in pochi secondi, la sua lentezza, la sua cura, la sua precisione sono un monito. Ridere, per lui, non era un modo per dimenticare: era un modo per capire. E in questo, più che in ogni vignetta, c’è la misura della sua arte.