Tre attiviste sotto inchiesta per stalking: dalle chat femministe gogna social

Le influencer Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene schierate contro un giornalista

tre attiviste sotto inchiesta per stalking dalle chat femministe gogna social

Dai telefoni sequestrati emergono chat, liste e messaggi di odio verso decine di persone, in quello che gli inquirenti definiscono un vero “tribunale digitale”. Le indagate si difendono parlando di confronto femminista

La vicenda nasce dalla denuncia del giornalista A.S., finito nel mirino delle tre attiviste dopo la fine di una relazione sentimentale. Nei post e nelle storie pubblicate sui loro profili, l’uomo veniva definito “abuser” e “manipolatore”. Per gli inquirenti, si sarebbe trattato di una campagna denigratoria pianificata attraverso gruppi di messaggistica e chat Telegram, dove venivano raccolte informazioni e coordinate azioni di boicottaggio. Gli investigatori hanno sequestrato telefoni e computer, ricostruendo una rete di conversazioni in cui comparivano liste di uomini ritenuti “tossici”, discussioni su strategie di attacco mediatico e riferimenti a personaggi pubblici. Tra i messaggi emersi, anche insulti e commenti offensivi contro esponenti istituzionali e personalità del mondo della cultura. La Procura ipotizza i reati di stalking e diffamazione aggravata.

Le parole della fidanzata

Federica — nome di fantasia —, attuale compagna del giornalista, ha raccontato di aver vissuto mesi di paura e isolamento. Ha spiegato che il compagno e lei stessa sono stati vittime di un “tribunale social spietato” e che nessuno dovrebbe subire un simile accanimento. Il suo racconto ha rafforzato l’impianto accusatorio, evidenziando il danno psicologico subito. Molte associazioni per i diritti delle donne hanno preso le distanze dal comportamento delle indagate, sottolineando che la denuncia delle violenze non può trasformarsi in vendetta digitale. Alcune voci interne al movimento femminista parlano di “deriva punitiva” e di un uso distorto dei social, che rischia di indebolire la credibilità delle battaglie di genere. La vicenda apre una riflessione più ampia sul confine tra impegno civile e persecuzione mediatica. L’uso dei social come strumento di denuncia, se privo di riscontri legali, può trasformarsi in una forma di violenza collettiva. L’inchiesta di Monza riporta così al centro il tema della responsabilità digitale e della necessità di nuove regole per evitare che la rete si trasformi in un tribunale parallelo.