Garlasco, le 48 ore dei misteri: telefonate e silenzi nella pista Sempio

Le chiamate anomale del 2017 tornano nel mirino dell’inchiesta di Brescia sul delitto Poggi

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L’intricata sequenza di contatti tra Andrea Sempio, i suoi avvocati e un investigatore della Procura di Pavia, avvenuta nel gennaio 2017, riemerge oggi nelle indagini bresciane su un presunto accordo corruttivo volto a chiudere la pista alternativa

La girandola di telefonate che riapre il caso. Sono 48 ore dense, segnate da squilli, sms, chiamate mancate, tentativi ripetuti. La Procura di Brescia le definisce «anomale», forse addirittura indizio di una «trattativa» sotterranea. È il weekend del 21 e 22 gennaio 2017, quando il nome di Andrea Sempio — amico del fratello di Chiara Poggi — era tornato sotto i riflettori dell’inchiesta sul delitto di Garlasco. Oggi, quegli stessi contatti sono al centro dell’indagine che vede imputati l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti e il padre di Sempio, Giuseppe, sospettati di aver favorito una rapida archiviazione. Per i pm di Brescia Franceso Prete e Claudia Moregola, in quelle 48 ore si nasconderebbe la prova di un accordo illecito. Nel mirino non ci sono soltanto i tabulati, ma anche un mosaico di prestiti e prelievi di contanti che, secondo la ricostruzione accusatoria, celerebbe una dazione tra i 20 e i 30 mila euro destinata a influenzare il corso delle indagini. Il quadro che emerge è quello di un rapporto troppo disinvolto fra indagato, investigatori e ambienti giudiziari, tale da mettere in discussione la neutralità degli atti svolti nel 2017.

L’alba di sabato: squilli, nessuna risposta

L’analisi dei tabulati riporta a quel sabato mattina. Alle 10.31 e alle 10.32 qualcuno, usando il telefono fisso della Procura di Pavia, tenta di contattare Sempio. Alle 10.33, stesso esito con il cellulare privato del carabiniere Silvio Sapone, all’epoca capo della squadra di pg. Le chiamate insistono: 10.35 e 10.58 dal fisso della Procura, 10.37 e 10.54 dal telefono di Sapone. Sempio non risponde mai. Una girandola difficile da spiegare: secondo i pm, non esisteva alcun atto da notificare, nessuna urgenza investigativa, nessun motivo per cui l’indagato dovesse essere raggiunto. Solo alle 11.49 arriva il primo segnale: una telefonata al suo avvocato Massimo Lovati. Parlano per mezzo minuto. Alle 12.01 si risentono per un minuto, poi alle 12.46 arriva l’ultimo tentativo di Sapone di raggiungere Sempio, anche questo senza risposta. Finita così la giornata? No. Perché il giorno successivo, domenica, i telefoni tornano a vibrare ininterrottamente. Alle 17.25 di domenica, Sempio parla con il suo legale Federico Soldani. Dopo tre minuti, chiama Sapone. È una conversazione di cinque minuti e quindici secondi: la più lunga e la più significativa per gli investigatori. Al termine, Sempio contatta di nuovo Soldani, poi lo richiama ancora. Alle 17.48 ritorna sulla linea con Sapone: 52 secondi a cui segue, un minuto dopo, un sms al carabiniere. Le comunicazioni proseguono fino alle 18.13, in un crescendo che i magistrati definiscono «convulso» e privo di spiegazioni.

La memoria che svanisce e i dubbi che restano

Quando la Procura di Brescia ha interrogato Soldani, Lovati e lo stesso Sapone, la risposta è stata sempre la stessa: nessuno ricorda più la ragione di quelle chiamate. Un vuoto di memoria che, a otto anni di distanza, pesa come un macigno. Per i pm, quell’oblio collettivo è sospetto almeno quanto la sequenza frenetica dei contatti. Per la difesa, si tratta invece di un polverone investigativo che rischia di attribuire un significato a ciò che potrebbe essere banale routine. Il caso Poggi, pur dopo la condanna definitiva di Alberto Stasi, non ha mai smesso di generare interrogativi. La pista Sempio, archiviata nel 2017, torna ora carica di ombre, sospetti e incastri mancati. Le 48 ore dei telefoni impazziti sono soltanto un tassello di un’indagine più ampia, che chiama in causa rapporti, decisioni e atti amministrativi rimasti in sospeso troppo a lungo.