Minacce aggravate e istigazione a delinquere: sono i reati al centro dell’inchiesta sulla cosiddetta «lista stupri» comparsa il 27 novembre in un bagno dei maschi del liceo classico Giulio Cesare, in corso Trieste, a Roma. Sulla parete, vergati con un pennarello rosso, i nomi e i cognomi di otto ragazze e di un ragazzo, tutti studenti dell’istituto, preceduti da una scritta che evoca la violenza sessuale come arma di intimidazione. La vicenda, denunciata dal collettivo studentesco Zero Alibi, ha innescato un’immediata reazione della scuola, delle famiglie e del mondo politico. Dopo i primi accertamenti, la Procura dei minorenni e quella ordinaria riceveranno le relazioni di polizia: l’episodio, riguardando la sfera sessuale, è infatti procedibile d’ufficio, a prescindere dal numero delle denunce presentate.
La preside davanti alla Squadra mobile e alla Digos
Questa mattina la dirigente scolastica Paola Senesi è stata convocata in Questura, negli uffici della Squadra mobile guidata da Roberto Pititto, insieme agli investigatori della Digos che si occupano dei possibili profili politici della vicenda. Alla preside è stato chiesto di ricostruire il clima interno al liceo, le dinamiche tra gli studenti e i passaggi immediatamente successivi alla scoperta della scritta. Senesi, nei giorni scorsi, aveva parlato di «ottusi graffiti vandalici», ribadendo però l’impegno del Giulio Cesare in progetti di educazione al rispetto tra uomini e donne e contro ogni forma di violenza di genere. Oggi, in una nuova nota, ha sostenuto che la scritta potrebbe essere «una reazione proprio alle iniziative del liceo contro la violenza», rivendicando la storia dell’istituto come luogo di confronto civile più che di conflitto. Gli inquirenti lavorano su più fronti, ma una pista viene considerata al momento particolarmente significativa: quella della vendetta politica dopo le recenti elezioni per i rappresentanti d’istituto. Secondo quanto emerge dalle prime testimonianze, la «lista stupri» potrebbe essere stata concepita come ritorsione contro studenti e studentesse impegnati nelle campagne contro la violenza di genere e in liste considerate alternative a una storica formazione di destra, rimasta esclusa dagli organi di rappresentanza. In questa chiave, il gesto non viene letto solo come provocazione sessista, ma come tentativo di colpire figure percepite come simboliche all’interno della scuola, bersagliate proprio per le loro idee e per l’impegno nelle mobilitazioni di questi mesi. Resta da chiarire se l’autore del gesto abbia agito da solo o all’interno di un gruppo, e se dietro ci possa essere un vero e proprio mandante esterno all’istituto.
Un sospettato e l’ipotesi della perizia grafologica
Dalle prime verifiche, gli investigatori avrebbero già individuato almeno un sospettato, presumibilmente uno studente interno alla scuola. Al momento, però, non ci sono conferme ufficiali e la cautela resta massima, anche per la delicatezza del contesto minorile. Se il quadro dovesse complicarsi, la Procura potrebbe disporre una perizia grafologica, per confrontare la scrittura della «lista» con quella dei compiti, dei test o di altri elaborati scolastici. Nel frattempo i ragazzi i cui nomi compaiono sul muro non sono ancora stati ascoltati formalmente, ma la possibilità che vengano sentiti nei prossimi giorni viene data per probabile. Due famiglie hanno già sporto denuncia, mentre altre stanno valutando di seguire la stessa strada. Intorno ai nove nomi scritti in rosso si è stretto subito un cordone di solidarietà da parte di compagni e genitori, ma la paura rimane. In almeno un caso, una delle studentesse ha denunciato nuovi episodi di intimidazione: qualcuno avrebbe citofonato alla sua abitazione di notte, lasciando partire solo insulti e urla, senza rivelare la propria identità. Alcuni genitori hanno diffuso una lettera pubblica rivolta agli autori del gesto, nella quale si sottolinea che «non è il corpo delle ragazze a dover essere protetto dalle loro idee, ma sono le idee a non dover essere messe a tacere con minacce e violenza simbolica». Un messaggio che tenta di ribaltare l’ottica del terrore in cui le vittime rischiano di essere confinate.
La comunità scolastica divisa tra protesta e minimizzazione
La reazione dentro il liceo è tutt’altro che univoca. Da un lato c’è la mobilitazione degli studenti, che questa mattina hanno aperto la giornata con un sit-in davanti alla cancellata nera del Giulio Cesare. Uno striscione, rivolto alla preside, recitava: «Inutile il bel volto in televisione, gli studenti vogliono una soluzione», in polemica con quella che viene percepita come una gestione più attenta all’immagine che al disagio reale. Dall’altro lato, all’interno del corpo docente non mancano voci che tendono a ridimensionare l’episodio, attribuendolo a un singolo studente con «problemi comportamentali». Una versione che, secondo chi chiede interventi strutturali di educazione sessuo-affettiva, rischia di trasformare un fenomeno culturale in una semplice devianza individuale, sottraendolo alla riflessione collettiva.
