Corte dei Conti, giorno decisivo: l’efficienza rischia di erodere i contrappesi

Domani alle 11 il voto al Senato: dietro la riforma, il pericolo di uno squilibrio tra poteri

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Il ddl 1457 arriva all’esame finale di Palazzo Madama. Una riforma presentata come semplificazione, ma che per magistrati, sindacati e opposizioni mette a rischio i controlli e l’equilibrio istituzionale

Domani, nell’Aula del Senato della Repubblica, il cammino parlamentare del ddl n. 1457 entra nella sua fase conclusiva. Alle 11 si apre la discussione su una riforma che modifica la legge del 1994 sulla Corte dei conti e affida al governo una delega ampia sulla responsabilità amministrativa e sul danno erariale. Un passaggio che non è solo tecnico, ma profondamente politico e istituzionale. Il testo arriva a Palazzo Madama forte dell’approvazione della Camera dei deputati. Proprio per questo il Senato non può limitarsi a ratificare. È chiamato a interrogarsi sul senso profondo di una riforma che interviene su un equilibrio costruito in oltre trent’anni, quello tra chi amministra e chi controlla, tra potere esecutivo e magistratura contabile.

La narrazione dell’efficienza
La maggioranza difende il ddl come uno strumento necessario per sbloccare la macchina pubblica. Il “timore della firma” viene indicato come il grande nemico da abbattere, la responsabilità erariale come un freno che paralizza dirigenti e funzionari. È una narrazione seducente, soprattutto in un Paese stanco di ritardi e burocrazia. Ma è anche una narrazione incompleta, perché riduce un problema complesso a una scorciatoia normativa. Le perplessità espresse dalla Corte dei conti nelle sedi istituzionali vanno prese sul serio. Quando si attenua la responsabilità per danno erariale, non si incide solo su un istituto giuridico: si manda un segnale culturale. Si suggerisce che il controllo sia un intralcio, non una garanzia. Eppure è proprio la funzione preventiva della magistratura contabile ad aver rappresentato, negli anni, uno degli argini più efficaci contro sprechi e cattiva gestione delle risorse pubbliche.

Un allarme che viene dal diritto
Le critiche dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti e di numerosi costituzionalisti non sono un riflesso corporativo. Richiamano l’articolo 97 della Costituzione e il principio di buon andamento per ricordare che l’efficienza non può mai essere separata dall’imparzialità. Una delega troppo ampia al governo, un perimetro della colpa grave ristretto oltre misura, rischiano di spostare l’asse dei poteri in modo irreversibile. Anche i sindacati della funzione pubblica, come CGIL e UIL, leggono in questa riforma un pericolo: quello di coprire inefficienze e sprechi senza affrontare le vere fragilità della pubblica amministrazione, dalla carenza di personale alla mancanza di formazione. Le opposizioni, dal Partito Democratico al Movimento 5 Stelle, parlano apertamente di un arretramento nella lotta alla corruzione.

Un equilibrio che non va sacrificato
Il voto di domani pesa più di quanto appaia. Non riguarda solo la Corte dei conti, ma il modo in cui lo Stato italiano concepisce i propri contrappesi. Smontare, anche gradualmente, il sistema dei controlli in nome della velocità significa accettare un rischio: quello di uno Stato più rapido, sì, ma anche più opaco. Il Senato ha ancora la possibilità di fermarsi, correggere, riequilibrare. Perché l’efficienza amministrativa è un obiettivo legittimo, ma non può diventare l’alibi per indebolire uno dei pilastri della legalità repubblicana.