La East Wing non era un’ala qualsiasi. Costruita nei primi anni del Novecento, divenne il cuore operativo delle first lady, sede dei loro uffici e del segretariato sociale, luogo dove la vita pubblica e quella privata della Casa Bianca si intrecciavano. Melania Trump vi aveva trascorso molte ore, dedicandosi ai suoi progetti e circondandosi del piccolo staff che l’ha accompagnata nei suoi anni alla residenza presidenziale. È anche per questo che la sua reazione al progetto del marito è apparsa tanto sorprendente quanto sincera. Secondo quanto riportato da diversi organi di stampa americani, la first lady avrebbe confidato ai suoi collaboratori che l’idea della demolizione “non era affatto sua”, prendendo così le distanze da un piano che – a lavori ormai avviati – ha già suscitato ondate di indignazione.
Il sogno faraonico di Trump
Donald Trump, da sempre costruttore prima che politico, ha voluto imprimere alla Casa Bianca la sua firma architettonica. L’obiettivo dichiarato è la creazione di un gigantesco ballroom neocoloniale, finanziato da donatori privati, destinato a ospitare eventi e ricevimenti presidenziali. Il progetto, dal costo stimato di circa 300 milioni di dollari, ha però provocato un terremoto simbolico. Per la prima volta viene demolita un’intera ala storica della residenza più rappresentativa d’America, considerata da molti “la casa del popolo”. Il portavoce Davis Ingle ha cercato di frenare le polemiche, assicurando che il presidente “è un costruttore nato” e che la nuova struttura renderà la Casa Bianca “più bella e funzionale per le generazioni future”. Ma l’argomento non ha convinto né gli storici né una parte consistente dell’opinione pubblica.
L’ira di Melania e il gelo alla Casa Bianca
L’uscita di Melania ha colpito per il tono netto e privo di sfumature. È la prima volta, da quando Trump è tornato alla presidenza, che la first lady interviene per smarcarsi apertamente da una decisione del marito. Un segnale politico e personale insieme, che lascia trapelare tensioni interne al clan presidenziale. Melania, che già in passato aveva difeso con discrezione gli spazi e le tradizioni legati al ruolo delle consorti presidenziali, ha visto svanire in pochi giorni il luogo dove aveva costruito la sua dimensione pubblica. Dietro la freddezza apparente, il suo entourage parla di “amarezza e delusione”, sentimenti che contraddicono la narrazione di una coppia sempre compatta.
Le reazioni politiche e culturali
Dall’opposizione democratica arrivano accuse di “vandalismo istituzionale”. Il senatore dell’Arizona Ruben Gallego ha ironizzato proponendo di ribattezzare la nuova sala “Barack Obama Ballroom” in caso di vittoria di un presidente democratico. Persino in ambienti repubblicani si moltiplicano le perplessità. L’ex deputato Joe Walsh ha promesso che, se correrà per la Casa Bianca nel 2028, il primo atto sarà “demolire la ballroom e ricostruire l’East Wing”. Il mondo accademico e i conservatori del patrimonio storico parlano invece di un “atto irreversibile”, che cancella un capitolo fondamentale della storia americana. Il dibattito si allarga anche al significato simbolico del gesto: distruggere il luogo delle first lady equivale, per molti, a riscrivere l’immagine stessa della Casa Bianca come casa della nazione.
Una Casa Bianca senza memoria
La demolizione della East Wing segna una frattura tra passato e presente, tra l’idea di un’istituzione condivisa e la visione personalistica del potere che Trump incarna. La Casa Bianca, privata della sua ala più intima, rischia di diventare un monumento alla grandeur di un solo uomo più che alla democrazia americana. Melania, con il suo “non è una mia idea”, ha tracciato un confine netto, forse tardivo, ma carico di significato. È la voce di chi vede dissolversi la storia nella vanità del presente, mentre un’ala di marmo e memoria scompare sotto le ruspe.
