La bozza di intesa consegnata al Cremlino dagli emissari americani Steve Witkoff e Jared Kushner ha il sapore di una svolta senza precedenti nella politica estera statunitense. Prevede la cessione alla Russia delle porzioni di Donetsk ancora controllate da Kiev e, soprattutto, un riconoscimento ufficiale di Washington della sovranità russa sulla Crimea e sulle aree della regione di Zaporizhzhia già occupate dalle truppe di Mosca. È un punto, quest’ultimo, che prefigurerebbe la prima accettazione americana, dal 1945, di una conquista territoriale ottenuta attraverso la forza. L’appuntamento del 2 dicembre si è chiuso senza intesa. Il consigliere presidenziale Yury Ushakov ha lasciato trapelare che, pur giudicando “interessanti” alcuni passaggi, Mosca ritiene la proposta insufficiente. Il Cremlino ha chiesto garanzie più estese, legate soprattutto alla sicurezza. Per Putin, che considera il Donbass parte integrante del progetto strategico russo, l’offerta americana non soddisfa ancora le ambizioni territoriali e militari maturate in tre anni di guerra.
Le concessioni richieste alla parte ucraina
Nel documento discusso a Mosca, Kiev verrebbe chiamata a rinunciare non solo ai territori già perduti, ma anche ai circa cinquemila chilometri quadrati del Donetsk ancora sotto controllo ucraino. Una zona scarsamente popolata, secondo le stime americane, che conterebbe non più di centomila residenti. Nelle intenzioni dell’amministrazione Trump, questa concessione dovrebbe essere considerata “sopportabile” da Kiev in cambio di un congelamento del conflitto. Oltre ai dossier territoriali, Mosca insiste su un ridimensionamento strutturale dell’esercito ucraino e sulla limitazione delle garanzie di sicurezza occidentali. Una richiesta che preoccupa profondamente sia Kiev sia le capitali europee: senza un esercito adeguato e senza reti di protezione, l’Ucraina apparirebbe vulnerabile a future offensive, lasciando scoperto l’intero fianco orientale del continente. Riconoscere Crimea e Zaporizhzhia come territori russi significherebbe per gli Stati Uniti sconfessare decenni di dottrina fondata sul rifiuto delle annessioni armate. Una scelta che indebolirebbe i principi alla base dell’Onu e che aprirebbe la strada a investimenti americani nelle zone occupate, in un contesto giuridico che Washington, ma non l’Europa, considererebbe legittimo.
Le reazioni di Kiev e dell’Europa
Il governo ucraino respinge qualsiasi ipotesi di cessione territoriale e giudica la proposta americana un precedente pericoloso. Anche le cancellerie europee temono un cedimento che rischierebbe di riscrivere le regole del dopoguerra. A Bruxelles prevale l’idea che una pace costruita sulla rinuncia forzata di territori possa trasformarsi in un semplice intervallo fra due offensive russe. La trattativa non è chiusa, ma si trova in una fase in cui la distanza fra Washington e Mosca resta ampia. La Russia mira a ottenere un riconoscimento politico della propria espansione; gli Stati Uniti cercano un compromesso che ponga fine alla guerra senza apparire come un cedimento totale. Kiev osserva con crescente inquietudine, consapevole che la sua integrità territoriale è tornata oggetto di un negoziato fra potenze.
