Il governo israeliano sostiene che un’azione dei miliziani di Hamas nella regione di Rafah ha provocato la morte di due soldati israeliani, considerata una «violazione palese» della tregua da parte di Netanyahu. In risposta, lo Stato d’Israele ha annunciato di aver impiegato circa 153 tonnellate di esplosivi in raid contro “decine di obiettivi, inclusi alti comandanti”.
Il premier ha pronunciato parole forti: «Il cessate il fuoco non è un permesso per Hamas di minacciarci. Ci sarà un prezzo molto pesante per ogni aggressione contro di noi». L’azione riapre la discussione sul fragile equilibrio della tregua e sulla capacità dello Stato israeliano di imporre condizioni al rispetto della stessa.
Il ruolo diplomatico statunitense
In parallelo agli eventi militari, gli Stati Uniti sono intervenuti diplomaticamente inviando Steve Witkoff, inviato speciale per il Medio Oriente, e Jared Kushner, genero e consigliere del presidente americano, in Israele. L’obiettivo è quello di stabilizzare il cessate il fuoco in corso tra Israele e Hamas, rafforzare il ruolo americano quale garante dell’accordo e preparare l’arrivo imminente del vice-presidente J.D. Vance nella regione.
In questo scenario Washington appare determinata a proteggere l’intesa negoziata, ma deve anche gestire la pressione affinché i termini della tregua vengano effettivamente applicati sul terreno: apertura dei valichi, consegna degli ostaggi, rilascio dei corpi, supervisione internazionale.
Le sfide della tregua
La tregua, attiva da pochi giorni, si trova ad affrontare una prova severa. Da un lato Israele afferma che Hamas ha superato le linee stabilite e ne richiede conto. Dall’altro, Hamas nega responsabilità dirette nell’incidente di Rafah, parlando di miliziani autonomi o altri gruppi non controllati.
Inoltre, persistono problemi che compromettono la stabilità dell’accordo: il flusso di aiuti umanitari verso Gaza è limitato, i valichi – in particolare quello di Rafah verso l’Egitto – restano chiusi in attesa che Hamas rispetti impegni quali la restituzione dei corpi degli ostaggi. La sensibilità della comunità internazionale e il ruolo degli Stati-garanti diventano cruciali per evitare che un singolo episodio riapra il conflitto su larga scala.
Le implicazioni regionali
L’escalation nella Striscia di Gaza non riguarda solo Israele e Hamas: le ripercussioni si estendono all’intera regione. Il fatto che Washington assuma una posizione di garante rafforza la sua presenza geopolitica, ma comporta anche rischi: se l’accordo fallisce, gli Stati Uniti potrebbero essere considerati responsabili o impotenti. Al contempo, altri attori regionali – dall’Egitto al Qatar all’Unione Europea – osservano con attenzione: la tenuta della tregua è vista come passo cruciale verso una pacificazione più ampia.
La scelta di Israele di intervenire subito e con forza invia un segnale politico chiaro: la tregua sarà rispettata solo se accompagnata da “controllo” e “conseguenze” in caso di violazione. Ma questo implica una tensione costante tra ragioni di sicurezza e imperativi umanitari. La tregua fra Israele e Hamas, sostenuta dagli Stati Uniti, è oggi messa alla prova da un grave episodio a Rafah e da una risposta militare israeliana significativa. Il viaggio degli emissari statunitensi testimonia che la partita diplomatico-politica è in pieno svolgimento, mentre sul campo la realtà si fa più dura. Se l’accordo reggerà dipenderà dalla capacità dei protagonisti di tradurre i termini negoziati in prassi, gestire le provocazioni e mantenere la fiducia a livello internazionale. In assenza di tutto ciò, la tregua rischia di dissolversi molto rapidamente.
