Dopo un assedio durato più di un anno e mezzo, le truppe della Rapid Support Forces (RSF) hanno sfondato le linee dell’esercito sudanese e preso il controllo di El Fasher, ultimo caposaldo governativo nel Darfur. Circa 250 mila civili sono rimasti intrappolati all’interno della città, circondata da un terrapieno di terra che impediva qualsiasi via di fuga o di rifornimento. La conquista, avvenuta tra il 25 e il 26 ottobre 2025, è stata accompagnata da un’ondata di violenze contro la popolazione civile, colpita durante la fuga o all’interno delle abitazioni.
Le testimonianze e le prove delle atrocità
Immagini satellitari, filmati e racconti dei sopravvissuti hanno documentato una serie di massacri compiuti dalle RSF nelle ore successive alla caduta della città. Molti abitanti sono stati giustiziati per strada, altri uccisi mentre cercavano di attraversare i campi per raggiungere i villaggi più vicini. Nei pochi ospedali ancora funzionanti, i medici hanno riferito di aver usato mangime per animali per nutrire i bambini denutriti. L’ONU parla di crimini di guerra e di una strategia di terrore pianificata per spezzare la resistenza locale.
Il ritorno dell’incubo del Darfur
Vent’anni dopo i primi massacri del 2003, le stesse dinamiche etniche e le stesse milizie riemergono con nuova forza. La RSF discende dai Janjaweed, gruppi armati a maggioranza araba che devastarono il Darfur occidentale. Oggi quelle milizie sono più organizzate e meglio equipaggiate: ai cavalli e ai cammelli di un tempo hanno sostituito pick-up blindati, droni e artiglieria pesante. Le principali vittime appartengono al gruppo etnico Zaghawa, sistematicamente perseguitato.
Le responsabilità esterne
Diversi osservatori internazionali segnalano che la RSF riceve sostegno logistico e finanziario da potenze straniere della regione. In particolare, gli Emirati Arabi Uniti, pur negando ogni coinvolgimento diretto, vengono indicati come principali fornitori di armi e fondi al gruppo paramilitare. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno condannato le violenze ma evitato prese di posizione esplicite contro gli Emirati, partner economico e strategico di primo piano.
Il silenzio del mondo
A differenza di quanto accadde nei primi anni Duemila, quando la tragedia del Darfur mobilitò governi, opinione pubblica e celebrità, oggi la reazione internazionale appare debole e frammentata. Le dichiarazioni di condanna delle Nazioni Unite e dei pochi governi occidentali sensibili alla crisi non si sono tradotte in azioni concrete. Le potenze regionali, dal Cairo a Riad, hanno preferito tacere per non compromettere equilibri diplomatici.
Un disastro umanitario in corso
Le agenzie umanitarie descrivono un quadro disperato: ospedali distrutti, scorte alimentari esaurite, migliaia di sfollati in marcia verso zone desertiche senza acqua né rifugio. Si teme che il numero delle vittime, già stimato oltre 1.500 nei primi giorni, possa crescere rapidamente. El Fasher è oggi il simbolo di una guerra dimenticata, dove la popolazione civile paga il prezzo più alto in un conflitto che il mondo sembra non voler più vedere.
