La verità, questa volta, non ha bisogno di essere scavata: è in superficie, tagliente. Gli Stati Uniti stanno dicendo all’Ucraina che la guerra deve finire, e deve finire ora. Non perché la giustizia lo imponga, non perché la libertà lo meriti, ma perché la loro pazienza si è esaurita.Per questo Zelensky non è davanti a un bivio. È davanti a un aut aut. Firmi il piano oppure resti solo. Accetti la pace che non vuoi, oppure affronti l’esercito russo senza armi, senza intelligence, senza respiro. E allora la frase che ha detto alla nazione — “potremmo essere costretti a scegliere tra dignità e sopravvivenza” — non è un grido politico: è un referto clinico.
La guerra è arrivata al suo punto più brutale: non decide più chi spara, ma chi smette di inviare munizioni. Sul terreno, infatti, la verità è ancora più dura: i russi avanzano perché gli ucraini non hanno più nulla con cui fermarli. Kupiansk soffoca, Pokrovsk cede isolata, Kramatorsk sente il fiato sul collo. Gli uomini al fronte combattono da quattrocento giorni senza rotazione; molti non hanno più paura, perché non hanno più alternative. E mentre tutto questo accade, a migliaia di chilometri, Donald Trump dà un ultimatum come se si trattasse della scadenza di un mutuo. “Firma entro giovedì. O il sostegno finisce.” È così che si chiude una guerra nel XXI secolo: con un contratto e una data sul calendario.
Non c’è poesia. Non c’è eroismo. C’è solo brutalità. La brutalità che nasce non dalla Russia — che la sua violenza l’ha mostrata fin dal primo giorno — ma dall’Occidente che, dopo due anni, ha deciso che la libertà dell’Ucraina è diventata un costo troppo alto. E l’Europa?
Farà quello che fa sempre: terrà il broncio, alzerà la voce per qualche ora, poi seguirà gli Stati Uniti. La verità è semplice: senza Washington, l’Europa non può garantire né armamenti, né deterrenza, né copertura strategica. Macron lo sa. Starmer lo sa. Merz lo sa.
Le loro frasi sulla “pace giusta” sono la carta da parati che si mette quando il muro si sta sbriciolando.
La verità è che l’Europa vuole tanto la fine della guerra quanto gli Stati Uniti: non per giustizia, ma per stanchezza. È la stanchezza dei governi che temono più l’inflazione che la caduta di Sloviansk. La stanchezza di società che vogliono tornare a parlare di energia, festival estivi e spread. La stanchezza dell’Occidente che ha perso l’abitudine a lottare per qualcosa che non sia il proprio comfort.
E allora sì: Zelensky firmerà. Non oggi, non domani, ma firmerà. Perché non può fare altro. Perché chi è accerchiato non negozia, sopravvive. Ma firmerà una versione “corretta”, limata, addolcita: abbastanza diversa da poterla raccontare al Paese come inevitabile e abbastanza simile da soddisfare Washington. E mentre la penna scivolerà sul foglio, Putin avrà già vinto la sua battaglia più importante:
non quella militare, ma quella simbolica. La vittoria in cui non è lui a imporsi sul mondo, ma il mondo a concedergli ciò che voleva. Il dolore vero, però, non è nei palazzi delle cancellerie. È nelle voci delle città che ancora resistono. Larisa che per anni ha venduto cipolle sotto i bombardamenti e ora si chiede se valga la pena restare. Olga che dice che sarebbe uno schiaffo ai morti. Vita che sogna solo una tregua, anche se ha il sapore della zona grigia. Irina che non vuole sentire la parola “Russia” per altre tre generazioni. I soldati che parlano di “pugnalata alla schiena” e che, nonostante tutto, restano al fronte. È qui che esplode la crudeltà del momento: una pace imposta è una resa con un nome diverso. Una pace non condivisa è un confine tracciato sul cuore di un popolo, non sulla mappa.
E noi? Noi che guardiamo, commentiamo, scriviamo? Siamo chiamati almeno a un dovere: non fingere che questa sia una soluzione. Non fingere che la libertà resti intatta quando le viene detto di arretrare. Non fingere che il mondo non cambi quando un popolo viene costretto a scegliere tra dignità e sopravvivenza. Perché la verità — la verità brutale, figlia della guerra e della realpolitik — è questa: quando accetti che qualcuno firmerà la resa al posto tuo, hai già deciso dalla parte di chi stai. E quando il mondo decide che la libertà può essere negoziata, la libertà ha già perso.
