Da uomo a donna. La forza di Carla: il coraggio di rinascere

La storia di Carla e del suo percorso per adattare il proprio corpo alla propria identità sessuale

 

di Simonetta Ieppariello

 

«La felicità esiste, devi solo essere disposta a tutto per raggiungerla. E non è mai troppo tardi». Ed è quello che ha fatto Carla, che affida a noi il suo racconto fatto di sofferenze e gioie, luci e ombre e il lungo per corso di Terapia Ormonale Sostituiva. Un percorso che attraversa la sua vita intera. Occhi grandi, sorriso aperto, cuore fiero, Carla ha deciso dopo anni di grandi sofferenze di affrontare l’unico percorso possibile, quello di transazione da un sesso, che non gli appartiene, a quello che è: una donna.

«Non è mai troppo tardi per cambiare la propria identità», racconta Carla mentre descrive il dolore, e l’insoddisfazione per il suo aspetto fisico e la difficoltà di vivere in un corpo che non senti tuo. Guardando Carla negli occhi oggi traspare tutta la felicità sul suo viso mentre diventa sempre più delicata nei lineamenti, mentre l’immagine che lei stessa vede riflessa allo specchio è, finalmente, quella che ha di sè stessa. “Ricordo con enorme sofferenza e disagio, quanto ho sofferto nella mia vita intera nel guardarmi nello specchio e non riconoscermi. E’ una sensazione terribile, che impone sofferenze inaudite, con ovvie ripercussioni psicologiche”. Chi si sottopone alla Terapia Ormonale Sostitutiva dovrà farlo per sempre. «Oggi inizio ad essere carina. Ho iniziato a indossare abiti femminili», racconta con un nuovo taglio di capelli e un filo di trucco sugli occhi.

Carla è una persona semplice, diretta, franca. Questa è la storia di un cammino, che accomuna milioni di persone nel mondo, fatto di consapevolezza e sofferenza e della volontà cristiana di aiutare il prossimo, le trans perché il cosiddetto terzo sesso non sia sempre relegato in un mondo altro, fatto di pregiudizi e non conoscenza della realtà.

«Avere una vita normale si può. La strada non è l’unica soluzione - spiega -». Chiacchierare con Carla significa scoprire la dolcezza dell’autoconsapevolezza, la fede vera quella fatta di amore autentico per il prossimo. Se Carla ha deciso di raccontarsi lo fa soprattutto perché vuole trasmettere ad altre trans la consapevolezza e forza di non dover essere per forza prostitute, di non pensare che sia possibile solo vendere il proprio corpo per sopravvivere.

«Anzi, spiega, si può vivere e non sopravvivere, certo per noi trans è molto più difficile. Ma spero che le mie parole, il mio metterci la faccia possa contribuire ad abolire qualche insensato pregiudizio».

Ciao Carla, innanzitutto come stai?

«Dire bene, è un parolone. Ma spero presto che anche la persona più importante della mia vita capisca le mie ragioni, condivida la mia identità. Attualmente, l’amore vero della mia vita, mio figlio, non lo vedo e lo sento pochissimo».

Perchè oggi hai deciso di raccontare la tua storia?

«Perchè spero dia coraggio ad altre trans a non pensare che una vita vera non sia possibile, oltre i tragici clichè che parlano ogni giorno delle trans obbligatoriamente finite sulla strada. Non è così. Io, sarò anche una persona fortunata, ma lavoro, vivo una vita come tante altre donne. La mia unica difficoltà è quella di combattere troppo spesso contro i pregiudizi. Ma ce la farò, ne sono certa».

Carla, partiamo dall’inizio. Quando hai capito di trovarti in un corpo che non era il tuo?

«Non l’ho detto subito in famiglia, perchè per anni ho vissuto sospesa in un limbo di sensazioni contrastanti. Sensi di colpa, vergogna, paura, disadattamento. Insomma, ero una bimba nel corpo di un bimbo. Vedevo gli altri maschietti voler giocare alla guerra, a calcio. Io sognavo le bambole. Appena potevo ne coccolavo qualcuna. Lo facevo di nascosto, iniziavo a capire che qualcosa di diverso c’era in me. Guardavo le mie coetanee, le loro delicate movenze. Volevo essere come loro».

E poi?

«L’adolescenza è trascorsa nell’autodeterminazione e nell’esercizio continuo ad essere un uomo. Ho fatto quello che gli altri, la società voleva da me. E’ come se avessi recitato un copione, relegando il mio vero in una stanza chiusa e buia del mio animo».

Continua…

«Mi sono concentrata su lavoro, sport, agonismo, forza, esercizio. Sono sempre stata una persona molto vitale. Decisi allora di essere la prima in tutto. Ero un uomo e dovevo essere l’uomo più bravo, più forte. Un vincente. Un modo semplice per canalizzare le mie energie, quasi a distrarmi dal mio reale essere, dal mio autentico io, quello di una donna dolce, amante della vita, desiderosa di leggerezza, femminilità, tenerezza».

Il rapporto con i tuoi coetanei come era?

«I maschietti mi rifiutavano. Mi vedevano diverso. Io volevo diventare una principessa, mentre loro volevano giocare a fare la guerra. Le bimbe stesse mi consentivano la condivisione del gioco, ma con la riserva di chi comunque ti vede diverso».

Cosa provavi?

«Una enorme sofferenza. Un senso di responsabilità e colpa. Pensavo fosse colpa mia. Iniziai a chiudermi in me stessa. Nonostante fossi molto brava a scuola iniziai a non rendere. Il rapporto con il mondo esterno lo evitavo, quello con i miei coetanei, con la classe perchè mi provocava molta sofferenza. Erano gli anni in cui capii di essere una bimba, che sognava di diventare una principessa…. »

Insomma, Carla, un percorso quasi di autopunizione e relegamento ad un genere che non era il tuo?

«Io non ho mai giudicato nessuno. Ho sempre guardato al cuore delle persone. Mi resi conto che così non era per me. Capii intuii le sofferenze che avrei patito nel decidere di essere libera».

E poi, crescendo?

«Tutte quelle sofferenze patite da bimbo, diventarono la mia forza da grande. Decisi di reagire. All’improvviso. Con rabbia e determinazione. Il mio senso di autoconservazione mi impose la ricerca di una soluzione e la scelta consapevole di un percorso predeterminato da me. Ho avuto tantissime ragazze che, ahimè e me ne scuso, ho trattato anche male. Non riuscivo mai a finirci, però, a letto, aumentando in loro il desiderio di possedermi. Insomma, sembravo il cosiddetto bello, tenebroso e dannato».

Nella tua vita che tipo di lavori hai fatto?

«Tutti i tipi di lavori prettamente maschili. Da non credere a ripensarci. Sono stato un camionista, ad esempio. L’ho fatto per 16 anni. Anche il servizio militare non è stata proprio una passeggiata… No, con molto senso di sfida finii in uno dei reparti maggiormente difficili della marina. Affrontai quel percorso con desiderio e forza».

In che senso?

«Diventati il tipico maschio napoletano, forte e coraggioso. Iniziai a sfidarmi nel recitare sempre meglio quel ruolo. Correndo, diventando forte, senza avere paura. Nello sport mi sono sempre distinto per forza, perseveranza e soprattutto fredda determinazione nel raggiungere l’obiettivo.

Poi hai conosciuto la tua ex…

«Ed è arrivato il dono più grande che la vita, il Signore, potesse riservarmi: il mio adorato figlio. Diventare genitore è stata la gioia più grande mai provata».

Pian piano dentro di te il dolore è diventato insopportabile….

«La vita è trascorsa così. Fino allo scorso gennaio del 2017… Dopo cinque anni di matrimonio non sono più riuscita ad andare avanti. La depressione mi aveva logorata lentamente, come un baco. Il dolore aveva distrutto la mia anima. La sofferenza latente, corrosiva in tutti gli anni trascorsi mi aveva letteralmente distrutta. Ho affrontato un percorso di supporto psicologico. Anche l’esperta ha confermata che sono una donna, imprigionata nel corpo di un uomo».

E poi?

«Non nego, di essere ancora viva grazie al Signore. Mi sarei uccisa se non fossi stata una persona di enorme fede».

Con tuo figlio che rapporto hai?

«Di amore assoluto. Eravamo amici. Ci divertivamo insieme. Per lui farei qualsiasi cosa. Ma finendo la storia con la mia ex il rapporto si è interrotto. Ma, mi auguro, di poter riprendere il mio rapporto con lui. So che serve del tempo. So che ora lui si vergogna di me, ma spero capisca che nell’essere forti e veri non c’è alcuna vergogna».

Dopo essere stata un camionista hai fatto un lavoro che, forse, ha aiutato la tua transazione…

«Abbandonai il lavoro di camionista. Mi trovai senza lavoro, con una famiglia. Per hobby frequentavo le discoteche per fare foto per i locali stessi. Di quell’hobby, secondo lavoro, sono riuscita a fare una professione. Mentre ero ancora un camionista avevo studiato, di notte, come diventare un fotografo professionista. Servì tanta forza di volontà. Ma una volta che abbandonai l’azienda di trasporti per cui lavoravo, potetti investire su quell’altro lavoro che mi stavo creando, letteralmente, da nulla».

Insomma, da fotografo apristi una agenzia….

«Una agenzia di modelle.  Ottenni da subito la fiducia e collaborazione di famosi brand. Mi costruii un sito internet di tutto rispetto. Formai le mie modelle di punta. Mi imposi seriamente sul mercato, con qualità e professionalità. Poi, purtroppo, a causa di una nuova depressione, decisi di abbandonare questo progetto. Sì. Tutti i miei sacrifici li ho visti polverizzati . In più ero in piena crisi sia con mia moglie che con me stessa. Da sempre io e lei stavamo insieme per affetto e per il bimbo. Non era più un rapporto tra moglie e marito, ma c’era immenso rispetto e affetto».

Quali sensazioni ricordi degli ultimi anni da uomo?

«Quell’irresistibile voglia di indossare panni femminili. Non nego, di aver pensato di provare quelli di mia moglie, ma ahimè era più piccola fisicamente, ero pieno di muscoli all’epoca e ovviamente non mi andavano».

Poi, una volta, per una trasferta di lavoro, hai provato quell’emozione enorme…

«Sì. Lo ricordo come fosse ieri. Ero sola, in una stanza di albergo. Provai quei vestiti. Mi guardai allo specchio. Sorrisi. Mi guardai fissa, negli occhi. Ero viva, vera. Ero me stessa. Sono Carla, pensai. MI sentii di nuovo quella bimba che stringeva una bambola e voleva diventare una principessa. Poi, il percorso. Il matrimonio finito, ma l’inizio della agognata transazione… Sì. Appena ho iniziato è sparita la depressione. Quel mal di vivere è diventata energia di sole, vita, gioia. Ho avuto anche la fortuna di trovare un nuovo lavoro con la Mu-Make Up. Il titolare dell' azienda non ha pregiudizi, mi tratta come tutti gli altri lavoratori e lavoratrici. Ho impiegato tutte le mie forze per dare il meglio a questa grandissima azienda, ben nota sul mercato dell' estetica e non solo, perchè il senso di gratitudine che provo è incommensurabile. Un grazie ai miei colleghi, alle mie colleghe, alla mia famiglia e a mio figlio che mi trattano per quello che sono, Carla. Una persona, come tante. Spero che il mio sorriso riesca a dare fiducia e forza a chiunque stia attraversando un momento difficile. La vita può sorridere, comunque e sempre. Serve coraggio e verità».