Che la festa della Liberazione sia anche quella dell'Unità

Vanno difesi i valori di una unità nazionale troppo spesso ancora oggi calpestata o misconosciuta

che la festa della liberazione sia anche quella dell unita

Che il 25 aprile diventi la vera festa dell'Unità d'Italia, al posto di quella torbida, insanguinata e giustamente ignorata del 17 marzo

Napoli.  

di Gerardo Casucci

La libertà è un cosa seria e parlarne la rende ancora più seria. Perciò il 25 aprile non è una festa come le altre, sia per il suo alto valore storico nazionale che per quello simbolico, e, in questo caso, travalica ogni mero confine territoriale per diventare una questione generale dell'Uomo e del suo stesso senso di esistere e perdurare sulla Terra. Eggià, proprio così, non è per fare affermazioni apodittiche, ma colui che non comprende che la libertà altrui - in ogni sua declinazione - ha lo stesso valore (e gli stessi limiti) della propria non è degno di essere chiamato uomo e non può pensare di vivere in un qualsivoglia contesto sociale e civile. Detto ciò torniamo al mio racconto del 25 aprile.

La data in questione in casa mia non ha mai avuto un grande valore politico. Sarà stato il fatto di aver avuto (e di avere ancora) una sorella minore nata proprio in questo giorno, una madre schiva e distantissima dalla politica - chiedeva con imbarazzante puntualità a mio padre partito e candidato per cui votare - o un padre che pur nella sua assennata bontà era un uomo (per sua stessa ammissione) "di destra", resta il fatto che il giorno della Liberazione non era dalle parti di casa mia quel tripudio commemorativo che era (almeno a quei tempi) altrove. Ci sarebbero voluti due "giovanotti di sinistra", acculturati al punto giusto e abbigliati con eskimo e panni di Resina (regolarmente trafugati nottetempo dalla signora senza opinioni politiche) per far nascere nella nostra magione di Corso Vittorio Emanuele un qualche minimo sentimento di analisi della questione che il 25 aprile con tanta ridondanza ovunque evocava.

Non starò qui a ricordarvi le ragioni storiche di questa festa di cui con tanto piacere "approfittiamo" nelle scuole come nelle case di questo paese tra brevi o lunghi ponti vacanzieri (anche per la vicinanza con l'altra virtuosa ricorrenza del 1° maggio), ma una cosa mi tocca dirla - pur chiedendo sin d'ora scusa a chi la storia la studia e la racconta - al solo scopo di non tradire quel meridionalista a oltranza che sono.

Il 25 aprile è sì la sintesi temporale delle date incalzanti e successive di "liberazione" di svariate città del nord dall'opprimente, ingiusto, terrificante, violento, ottuso e antitaliano nazifascismo - sì proprio antitaliano, e i motivi non credo sia necessario che io stia qui a elencare - che da troppo tempo imperversava sul nostro suolo nazionale, ma è anche "il giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) – il cui comando aveva sede a Milano ed era presieduto da Alfredo Pizzoni, Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani (presenti, tra gli altri, il presidente designato Rodolfo Morandi, Giustino Arpesani e Achille Marazza) – proclamò l'insurrezione generale in tutti i territori del Nord Italia ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive in quelle aree geografiche, facenti parte del Corpo volontari della libertà, di attaccare i presìdi fascisti e tedeschi, imponendo la resa, giorni prima dell'arrivo delle truppe alleate".

Sarebbe pertanto facile commentare - come qualcuno ancora fa con puntuale regolarità - che in questo giorno celebriamo un anniversario della liberazione non dell'Italia intera ma solo di "quella di su", la stessa che non era stata né benevola né giusta con "quella di giù" sia prima che dopo quella data.

Napoli, la vituperata Napoli, la bistrattata Napoli, la stracciona Napoli lo aveva già fatto nei giorni che andavano dal 27 al 30 settembre del 1943 con una insurrezione popolare senza precedenti, senza proclami (compresi quelli autogovernativi validi per tutto il suolo nazionale) e senza editti di morte nei confronti di nessuno.

La libertà è un bene troppo prezioso per suddividerla in meriti, primogeniture e spartizioni territoriali, ma quello che accade in quei terribili e ignominiosi anni - e in quei giorni ancor più in particolare - avrebbe dovuto costituire un monito non solo ad avversare ogni forma di dittatura politica, sociale, religiosa e morale ma, per chi come noi si professa italiano, a difendere i valori di una unità nazionale troppo spesso ancora oggi calpestata o misconosciuta. Senza il coraggio del sud non sarebbe stato possibile liberare anche il nord, è questa la lezione che vorrei fosse ricordata, affinché la festa del 25 aprile non sia solo la formale e agnostica commemorazione di fatti accaduti tanto tempo fa o, peggio, la pregiudiziale appropriazione di un merito politico che la Storia, alla fine, com'è giusto che sia, ha dato solo a chi ha combattuto da sud a nord e a costo di tutto, compresa la vita, contro l'intollerabile oppressione nazifascista. Che il 25 aprile diventi, pertanto, la vera festa dell'Unità d'Italia, al posto di quella torbida, insanguinata e giustamente ignorata del 17 marzo.