Rifiuti, riecco l'emergenza a orologeria: pronti i clan

Quando nel '90 il caso Tamburrino svelò gli affari della camorra

Napoli.  

di Sergio Califano

Salvini e Di Maio litigano (anche) sui termovalorizzatori. Per il leader della Lega sono indispensabili, il capo del M5S non li vuole, e su questa valutazione trova d'accordo il presidente della Camera, Fico.

E Napoli si avvia lentamente ma inesorabilmente a "tornare alla normalità", cioè all'emergenza endemica sulla risoluzione del problema smaltimento dei rifiuti. Uno scenario ben diverso da quello che fu portato alla luce all’inizio degli anni ’90 quando i carabinieri del Nucleo operativo ecologico cominciarono a passare ai raggi x il business dell’ecomafia ed emerse uno scenario che, già in quegli ormai lontanissimi anni, era da allarme rosso.

Un allarme rosso inferno su cui per anni successivi hanno poi indagato a trecentosessanta gradi direzione distrettuale, direzione investigativa e commissione antimafia. Una storia di disastro ambientale di proporzioni bibliche e di profitti illeciti dalle dimensioni colossali che venne alla luce grazie ad un episodio e ad un personaggio anonimo e marginale, che divenne però essenziale per comprendere l’ampiezza del fenomeno che aveva trasformato l’intera Campania nella discarica d'Italia.

Il personaggio si chiamava Michele Tamburrino, di mestiere autista di Tir, che suo malgrado conquistò gli onori della cronaca quando si ritrovò cieco in un ospedale napoletano senza saperne il perché. Lo sconcerto e le perplessità dei medici si fusero con lo sgomento dei familiari, tutti alla ricerca delle cause di un male tanto grave quanto misterioso.?Dopo qualche settimana arrivò il responso. Era successo che Tamburrino (siamo nel febbraio del 1991) col suo autotreno aveva caricato a Cuneo, in Piemonte, un centinaio di bidoni sigillati con l’incarico di trasportarli in una discarica autorizzata in provincia di Napoli.?Ma parte di quei fusti furono ritrovati in uno sversatoio fuorilegge di Villaricca dopo che un contenitore si era rovesciato ed aveva accecato il camionista.

I carabinieri ricostruirono il percorso ufficiale e quello effettivo del carico: la Ecomovil di Cuneo aveva ceduto il carico di veleni alla società di intermediazioni Transfermar, incaricata di far giungere quei bidoni al Centro smaltimento Sud di Sant’Anastasia.?Il fiume non metaforico di veleni, circa trecento fusti, a quel punto si disperde in un rivolo di bolle di accompagnamento e ricevute false.?

Gli spedizionieri confermarono, i destinatari smentirono. L’inchiesta si allarga a dismisura e la magistratura conferma che esiste un accordo scellerato per trasformare la Campania in una immensa discarica di rifiuti tossici o soltanto ingombranti e onerosi da smaltire secondo legge.?La mappa del rifiuto fuorilegge individua in Castelvolturno, Qualiano, Giugliano, Sant’Anastasia, Somma Vesuviana, Palma Campania, Villaricca, le mete privilegiate delle migliaia di Tir che hanno trasformato l’Italia in un’unica, lunga autostrada della spazzatura.?

E non è naturalmente un caso che in gran parte di quei Comuni agiscano da sempre, storicamente, alcune delle associazioni criminali più potenti dell’intera regione, perché è proprio nella discarica abusiva che la camorra ha trovato il nuovo filone d’oro da sfruttare fino all’esaurimento. E indagando sull’affaire del bidone tossico si comincia ad avere chiara la visione di un traffico quotidiano di Tir dal Nord al Sud che, dati ufficiali di quegli anni, trasportano complessivamente in Campania più di centocinquantamila, forse duecentomila tonnellate di rifiuti tossici e industriali destinati formalmente al trattamento, allo stoccaggio e al compostaggio in strutture attrezzate allo scopo.

Ma il costo dell’operazione legale è notevolmente alto e quindi tale da suggerire a molti produttori di rivolgersi ai clan di camorra, strutture forse meno attrezzate ma certamente più efficienti e veloci: e così soltanto una minima parte di quelle bombe tossiche viene «disinnescata» correttamente e senza creare danni. Il rimanente, cioè quasi i tre quarti di quelle duecentomila tonnellate, va a finire in compiacenti terreni abusivi gestiti dalla malavita, con il proprietario acquiescente che intasca un po’ di soldi per consentire il business.

E poi ci sono quelli che furono definiti i «laghetti della morte» e sui quali hanno indagato a fondo gli esperti dell’Antimafia: laghetti che originariamente erano cave di sabbia o pietra, svuotate progressivamente del proprio contenuto.?Quale era il meccanismo perverso? Le conche così formatesi vengono utilizzate per rovesciarvi dentro tonnellate di rifiuti proveniente da tutt’Italia.

Fino a riempirle completamente, mentre i veleni seppelliti iniziano la loro lenta ma inesorabile opera di inquinamento delle falde acquifere. I laghetti scompaiono, il terreno viene livellato con i bulldozer. Ed è a questo punto che si innestano gli affari più criminali, gli investimenti che comprometteranno per sempre la nostra terra. Su quel suolo spuntano come funghi i palazzi della camorra, utilizzando quelle montagne di sabbia e di pietre per costruire, che bisogna pur mettere da qualche parte. Perché anche e soprattutto nella malanapoli nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.