Di Giacomo: "Capi clan e detenuti imparticono ordini al telefono dalle carceri"

La denuncia di Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato polizia penitenziaria

di giacomo capi clan e detenuti imparticono ordini al telefono dalle carceri

E' allarme

Napoli.  

“Anche le pietre sanno che soprattutto dalle carceri campane, siciliane, pugliesi e calabresi i capi clan e i detenuti appartenenti a organizzazioni criminali usano il telefono per impartire ordini, anche di omicidi, e che organizzano persino summit telefonici tra carceri diverse.

È incomprensibile e non trova alcuna plausibile giustificazione, piuttosto, l’atteggiamento da “tre scimmiette” (non sento, non vedo e non parlo) dello Stato lasciando il personale penitenziario a vedersela da solo”.

Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato polizia penitenziaria ricordando i numerosi casi scoperti già lo scorso anno e in questi primi mesi del 2024, persino di summit di mafia comodamente dalle celle via skype, videochiamate per impartire ordini nei mandamenti, richieste estorsive, minacce per ritirare denunce.

Se non fosse per l’incessante opera del personale penitenziario i rifornimenti di telefonini specie con l’uso di droni trasformerebbero gli istituti in centrali telefoniche e supermarket della telefonia mobile.

Solo la politica non se ne accorge non affrontando radicalmente la situazione e accogliendo la nostra proposta di inasprimento delle pene per i detenuti trovati in possesso di telefonini, senza possibilità di concedere alcun tipo di beneficio. A questa situazione di diffusa illegalità - dice Di Giacomo - fanno seguito promesse ed annunci, come quelli del sottosegretario Delmastro su nuove assunzioni, nuovi strumenti per bloccare l’uso dei telefonini e di difesa dalle continue aggressioni di detenuti, che non hanno alcun seguito pratico.

È la riprova dell’abbandono del personale penitenziario al suo destino. L’altra faccia della “medaglia emergenza sistema penitenziario” diventano gli episodi di violenza, come nell’istituto Beccaria-Milano, che abbiamo condannato senza se e senza ma, e che trovano motivazioni nelle condizioni di stress del lavoro e nella inadeguata, in troppi casi, preparazione al lavoro che l’amministrazione penitenziaria affronta solo formalmente.

Per chi fa questo mestiere sempre più stressante l’esempio dei capi clan che comandano dal carcere non è affatto semplice da mandare giù. Come lo è per le vittime e le famiglie delle vittime di atti di criminalità ad opera di clan, gruppi di mafia, ‘ndrangheta, camorra che continuano a sentirsi minacciati nonostante gli autori dei crimini siano in cella.

Mettiamoci semplicemente nei panni di chi ha subito l’uccisione di una figlia, una violenza, una rapina che riceve telefonate di minaccia per rendersi conto del sentimento di forte indignazione e più che legittima rabbia che serpeggia.

È il segno più degradante del “buonismo” diffuso nei confronti dei detenuti e contemporaneamente dell’impotenza dell’Amministrazione Penitenziaria che almeno noi non ci stanchiamo di denunciare”.