Maxi-sequestro di beni per una frode IVA da 260 milioni di euro nel settore dei carburanti. È avvenuto oggi, 14 novembre, quando il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, su richiesta degli Uffici di Bologna e Napoli della Procura europea (EPPO), ha messo i sigilli ai beni di una società collegata al presunto capo di una rete criminale campana.
L'operazione, denominata "Fuel Family", mira a recuperare i proventi illeciti generati da un sofisticato schema di importazione e commercializzazione di carburante in Italia, che avrebbe sistematicamente eluso il pagamento dell'Imposta sul Valore Aggiunto, distorcendo il mercato e accumulando profitti per centinaia di milioni di euro.
Il sequestro si concentra sui beni di una società formalmente intestata alla moglie del principale indagato, un imprenditore campano già condannato in primo grado lo scorso 15 ottobre a otto anni di reclusione, oltre al pagamento di una multa e la confisca di beni fino a 73 milioni di euro. Secondo gli investigatori dei Nuclei PEF di Napoli e Verbania e della Compagnia di Casalnuovo, nonostante l'intestazione fittizia, l'azienda – proprietaria di un deposito fiscale a Magenta (MI) – era di fatto gestita dal condannato e utilizzata come snodo cruciale per le attività illecite.
L'operazione odierna rappresenta l'ultima fase di una più vasta indagine che aveva già portato, a marzo 2024, allo smantellamento del gruppo criminale, composto da 59 indagati e 13 società coinvolte. All'epoca erano state disposte misure cautelari per otto persone, inclusi i vertici dell'associazione, mentre in aprile erano già stati sequestrati beni per 20 milioni di euro, tra cui spiccano un resort turistico e oltre 150 immobili.
Al cuore della truffa vi era un'associazione per delinquere, spesso legata da vincoli familiari, che gestiva un classico schema di frode carosello IVA. Il carburante veniva importato da fornitori esteri, principalmente da Croazia e Slovenia, per poi passare attraverso una catena di oltre 40 "missing traders" (società "cartiere") in Italia. Queste aziende, create ad hoc, emettevano fatture per operazioni simulate (per un totale di oltre 1 miliardo di euro), rivendevano il prodotto a prezzi stracciati – grazie all'evasione IVA – e poi scomparivano senza versare un euro di tasse.
Il danno stimato all'erario, in termini di IVA non versata, ammonta a circa 260 milioni di euro. Le indagini hanno anche svelato un complesso meccanismo di riciclaggio: si sospetta che il gruppo abbia ripulito oltre 35 milioni di euro dei proventi illeciti, utilizzando conti bancari di società basate in Ungheria e Romania. Tali somme venivano poi prelevate sistematicamente e riportate in contanti ai responsabili della frode.
L'azione coordinata della Guardia di Finanza e della Procura europea (EPPO), l'organo indipendente dell'UE per i reati finanziari, dimostra un'escalation nella lotta contro le frodi transnazionali che non solo danneggiano le finanze pubbliche, ma alterano in modo massiccio la concorrenza a danno degli operatori onesti. Resta da vedere quanto del tesoretto criminale, riciclato attraverso i conti esteri, potrà essere effettivamente recuperato e restituito alle casse pubbliche.
