L'utopia di Ciampi e i meriti della vittoria a 5stelle

Il sindaco non si arrende: città bloccata dagli altri. La pretesa di governare senza opposizione.

Eppure l'esperienza di governo ha riaperto il dibattito in città, riavvicinato alla politica tanti che si erano autoesclusi. Forse si volta davvero pagina. Lo sapremo in campagna elettorale.

Avellino.  

 

 

di Luciano Trapanese

Niente, questa consiliatura a 5Stelle si concluderà senza aver chiarito al sindaco Ciampi e ai vertici irpini del Movimento, un punto fondamentale: non si governa in minoranza. E' fisicamente impossibile. Soprattutto se quella minoranza è schiacciante. L'ultima dichiarazione del primo cittadino lo conferma. In un post pubblicato sulla sua pagina Facebook, dopo aver esaltato la partecipazione della delegazione avellinese alla manifestazione romana del Movimento, così conclude: «Abbiamo le idee chiare e tutta l'intenzione di portare a compimento il processo di cambiamento che abbiamo iniziato. Sono gli altri gruppi, quelli che non condividono le nostre linee programmatiche, a tenerci bloccati, impedendo di fatto alla nostra città di crescere».

Il punto è questo: sono gli altri, quelli che non condividono le nostre idee, a impedire che, e così via... Ora, capiamo che i 5Stelle inseguano il sogno della democrazia diretta, sogno (o utopia?), che non prevede nel rapporto tra potere e cittadini il tramite del consiglio comunale (e neppure del Parlamento).

Ma siamo “ancora” nell'epoca della democrazia rappresentativa. Il consiglio è stato scelto dai cittadini. In consiglio si dibattono temi e proposte. E in consiglio vince la maggioranza. Che di fatto è anche la maggioranza del popolo. Non si può dire «siamo bloccati da chi non la pensa come noi». Anche perché e per fortuna non c'è un pensiero unico (anche il “popolo” pensa in svariati e spesso contrastanti modi), e le scelte politiche sono un confronto civile tra idee, anche diverse, che sfocia – o dovrebbe – nella soluzione migliore o semplicemente quella più condivisa.

Con l'attuale legge elettorale (che non piacerà a tutti, me negli anni ha consegnato alle città italiane governi stabili e una buona alternanza), Vincenzo Ciampi avrebbe dovuto ottenere un risultato molto migliore al primo turno (e non fermarsi intorno al 20 per cento), oltre a vincere al ballottaggio. Non è accaduto ed è stato costretto a provare a governare con l'anatra zoppa: governo di minoranza.

Senza numeri si possono battere i piedi, ululare alla luna contro un destino cinico e baro, dire che tutti gli altri sono “affamatori di popolo”, banchettatori a tradimento della peggior specie, produttori abusivi di babà, ma il risultato non cambia: la minoranza resta minoranza.

Ciampi aveva due chance dopo le elezioni: tentare di costruire una maggioranza – o una minoranza più consistente – cercando il dialogo con le altre forze politiche che pure lo hanno sostenuto al ballottaggio. Oppure: rendersi conto che governare non era possibile, fare chiarezza sui conti pubblici, dichiarare dissesto, dimettersi e partire subito con una nuova campagna elettorale, nella speranza di aumentare il consenso dei 5Stelle.

Ha invece scelto la terza via: il disperato galleggiamento. La strada peggiore. Primo, perché non poteva portare lontano, siamo infatti alla vigilia della sfiducia. Secondo, perché questo atteggiamento potrebbe aver eroso il consenso del Movimento in città. Terzo, perché ha esposto una amministrazione necessariamente impotente al fuoco di fila delle critiche più feroci.

Una scelta infelice. Figlia di una strategia incomprensibile. Eppure, questa esperienza, questa rottura con il passato, questa choc elettorale che ha portato all'elezione di Ciampi, potrebbero aver inciso profondamente nel futuro politico della città. Forse nel bene. L'esperienza 5Stelle ha spezzato un incantesimo, rimosso dal torpore tanti avellinesi. Lo dimostra la forza dell'associazionismo, la crescita del civismo, dei “gruppi di impegno”, il ritorno d'interesse per la politica e le dinamiche del buon governo cittadino di tanti che avevano smesso anche di parlarne, perché scoraggiati, stanchi, allontanati dalle solite scelte, dei soliti noti, prese nel silenzio delle solite stanze. E da quei partiti (Pd in testa), che si sono eclissati dal reale per nutrire l'ebbrezza spesso virtuale della gestione del potere. Se è così, e lo sentiamo nell'aria, bisogna darne merito ai 5Stelle. O meglio, alla loro vittoria. Lo sapremo presto. Appena inizia la prossima campagna elettorale.