Piazza del Popolo quota 17

Tanti aspirano a far parte di quei possibili 17 con cui capovolgere l’esito del voto per la svolta

piazza del popolo quota 17

Saranno loro, questi interessati cantori della responsabilità dell’impresa, ad impedirci di ritornare al voto e quindi al più consapevole esercizio critico della democrazia?

Avellino.  

Da anni, importanti istituti nazionali di ricerca, analizzano le capacità amministrative degli enti locali di promuovere politiche di sviluppo e ravvisano nel Mezzogiorno una profonda crisi delle qualità operative di amministratori non sempre adeguati alle cariche che vengono loro attribuite dal responso elettorale. I compiti dei Comuni in particolare sono sensibilmente aumentati e, secondo il Rapporto SVIMEZ 2024 dedicato a “L’economia e la società del Mezzogiorno”, i Comuni appunto, cito testualmente, “sono responsabili di funzioni orientate alla gestione locale, con focus sui bisogni della popolazione residente e, quindi, sono responsabili di pianificazione ed erogazione di una vasta gamma di servizi di prossimità, soprattutto in ambito sociale”.

Purtroppo laddove l’inefficienza politica, derivata da antagonismi e intrepide ambizioni soggettive, e le carenze culturali e formative prevalgono, diminuiscono sensibilmente tutti i possibili fattori armonici che possono caratterizzare il lavoro e gli obiettivi di un’amministrazione dedita al Buon Governo al punto da lasciarla scandalosamente arenare su questioni d’interesse meramente personale.

Il caso Avellino

Il caso Avellino - parleremmo di ‘affaire’ ma saremmo in questo caso assai generosi -, ci riconduce in un contesto teatrale invaso da figuranti improvvisati, comparse senza ruolo e sperduti gregari, ma in fondo dominato dal tentativo di accordi gestionali che inevitabilmente annullano trasparenza e responsabilità, inoculando nell’osservatore il dubbio che forte è la contesa tra chi opera nel ‘dietroscena’ attraverso i suoi fidati satelliti per impossessarsi ulteriormente degli affari che intridono la città, al punto da lacerare, in maniera irreversibile, la tela in cui si riproducono le attese e le richieste del cittadino-elettore, inquinando concretamente sia il concetto di democrazia, amaramente leso al suo interno dalla presenza probabile del voto di scambio di natura mandibolare, che le possibilità di attuare un governo virtuoso e condiviso della cosa pubblica.

Gli avvenimenti si susseguono con apparenti colpi di teatro, ma nella sostanza derivano da una simmetria temporale: il programma di sala era già stato distribuito agli spettatori nel giugno dello scorso anno quando un ex sindaco ai domiciliari, umanamente disperato e dolente, favorito da una inspiegabile girandola di posizionamenti d’occasione e di trovate alquanto naif dei suoi oppositori, riuscì ad imporre nel ballottaggio la fedele Vice del tempo fandango e vaporoso dello spensierato quinquennio trascorso.

Ma contro c'era un Pd cieco e ignavo

Risultato fragoroso questo ottenuto contro un Partito democratico, ‘cieco e ignavo’, a dir poco velleitario ed inesistente, e non poco diviso al suo interno da competizioni dal pesante odore di chiuso casalingo, e una destra del tutto fragile, evanescente e confusa, incapace di cogliere le occasioni di cambiamento scaturite non dall’attrazione dell’elettorato per i programmi proposti ma dall’azione non idillica della magistratura.

Nonostante quest’ultimo formidabile e fortuito accidente giudiziario nessuno dei competitori è riuscito a rendersi credibile nei confronti di migliaia di avellinesi che hanno preferito la rassicurante, sebbene non lineare, continuità all’enigma svelato di un presunto nuovo, non privo di volti, parole e opere antiquate.

Il prezzo pagato dalla trascurata Avellino

Il prezzo pagato finora dalla trascurata Avellino, oggi rattrappita nel suo algore morale, un tempo elegante e accogliente capitale della misurata provincia meridionale - il lungo post-terremoto del 1980 possiamo storicamente considerarlo un irrimediabile punto di confine oltre il quale si sono aperte voragini sociali ed economiche non ancora richiuse -, per dissennatezze inequivocabili, è stato devastante sul piano della qualità amministrativa e su quello, certamente complesso ed articolato, politico e perciò morale.

La città, disarmata e ferita, avvolta, secondo documentati rapporti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), nella nube tossica della criminalità, attualmente si ritrova a essere marginalizzata nel quadro della sventolata progettualità regionale in quanto umilmente piegata a interessi di natura neocoloniale abbastanza espliciti, praticati attraverso adulatori locali votati al sordo e arido mestiere di ascari.

L'attuale ceto politico amministrativo

Dai metodi novecenteschi dei vecchi regnanti democristiani, responsabili nel lungo periodo di scelte crepuscolari e per molti versi sollecitate dall’inquietudine della sopravvivenza, si è caduti negli anfratti di un ceto politico-amministrativo conformista per vocazione, disfatto concettualmente, maldestro emulo degli efficienti metodi gestionali della ruvida e familistica satrapia salernitana.

Nell’oggi i comprimari di questa modesta giostra del Saracino, ansiosi di ‘dialogare’, pertanto di trattare e scambiare merce, sono tutti alla ricerca della protettiva parola da scandire ai compiacenti interlocutori e alla stampa: responsabilità. Parola magica con cui continuare a restare aggrappati al nulla politico e necessariamente al proprio interesse carrieristico. Incuranti di possibili figuracce morali, tanti aspirano a far parte di quei possibili 17 con cui capovolgere l’esito del voto per generare una allegra quanto fiera formula di salvezza amministrativa e di inevitabile suicidio politico.

17, un numero che stavolta non sarebbe sfortunato

Il fatidico numero - l’agognata quota diciassette tanto cercata da farla paragonare alle quote 60 e 70 delle eroiche battaglie della Prima Guerra mondiale -, nella tradizione napoletana indica la sfortuna ma in quella ebraica rappresenta una possibilità propizia al bene e al buono. Certamente questa seconda interpretazione appare quella più ambita dai volti frustrati di cera indurita che continuano ad inseguire, nonostante la rabbiosa e persino comica oscurità del momento, incarichi e ruoli.

Piazza del Popolo quota 17 ossia quando gli eletti del cartello elettorale vincente, alcuni dei quali assessori per qualche settimana, cedono il passo agli sconfitti, agli indulgenti condottieri dal vibrante piglio intimamente scilipotiano, e persino ad un manipolo di rincalzi delle liste della maggioranza, non eletti ma ripescati per un eccesso d’ingenuità e di avidità del manovratore esterno.

Tutto questo in nome della responsabilità come pretesto che genera, come ben sanno i filosofi del diritto, un uso distorto e strumentale della responsabilità fondata sull’Etica e sull’Onestà.

Qualche rassegnato spiritoso a questo punto ci ricorderà che uno dei nostri più intelligenti antenati, nel 1944, mentre tanti bruciavano le ventennali camicie nere per riscoprirsi democratici e liberali, scriveva: “la formazione di una classe dirigente è un mistero della storia, che né il materialismo né l’idealismo sono riusciti a svelare”.

Non esageriamo sul mistero almeno per quanto riguarda questa sciatta situazione. I personaggi in campo, placidi e modesti nelle loro reiterate ambizioni, vogliono soltanto continuare a gestire quel resto di niente politico che pur si nasconde nell’umidore dell’amministrazione comunale di Avellino; città senza mare ma pasolinianamente “tutta calce”, ‘intasata’ dalle pratiche oscure di ignoti marinai di acque tempestose. Saranno loro, questi interessati cantori della responsabilità dell’impresa, ad impedirci di ritornare al voto e quindi al più consapevole esercizio critico della democrazia?

L’autore è professore ordinario di Letteratura italiana nell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.