Aste ok, il testimone in aula: "Non ho ceduto alle richieste estorsive del clan"

Prosegue il processo sulle presunte turbative d'asta al Tribunale di Avellino

aste ok il testimone in aula non ho ceduto alle richieste estorsive del clan
Avellino.  

Prosegue il processo nato dall'inchiesta "Aste ok" del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Avellino e il Nucleo Pef delle Fiamme Gialle di Napoli che hanno indagato su questo nuovo filone di illeciti che vede protagonista il Clan Partenio.

Lunga la fase istruttoria del processo, che ha visto nelle scorse udienze l’escussione di tante vittime delle presunte turbative d’asta.

Al riguardo l'avvocato Carlo Taormina scrive su Facebook: "Oggi udienza fiume nell’aula bunker del tribunale di Napoli. Processo alla criminalità organizzata per il racket delle aste giudiziarie. Finiremo molto tardi, forse stanotte. Istruttoria molto difficile ma vicenda di grande importanza sociale perché cessi questo scempio della sistematica rapina di debitori esecutati che vengono ricattati per farli tornare in proprietà degli immobili persi con un sistema che fa capo a una organizzazione camorristica “specializzata”. Difendo un imprenditore al quale si attribuisce un coinvolgimento nelle operazioni. Tutto converge perché la tesi accusatoria risulti infondata e per questo mi sto battendo", conclude.

Tre testimoni ascoltati oggi nell’aula bunker del Tribunale di Napoli, titolari di alcuni beni che poi sarebbero andati all’asta presso il Tribunale di Avellino.

Il primo testimone ha affermato di non aver mai ceduto alle richieste estorsive di Armando Aprile e che, addirittura, per intimidire lo stesso, si sarebbe travestito da poliziotto al fine di provocarlo per poterlo denunciare. Inoltre, il testimone ha affermato in aula di non essere mai stato interessato a rientrare in possesso dei propri beni andati all’asta, nonostante il ribasso del valore del 98% dopo che molte di queste erano andate deserte. Non aveva la forza economica per poterli riacquistare.

Anche gli altri due testimoni, a seguito di una lunghissima escussione, hanno chiarito le rispettive posizioni senza ritrattare nulla rispetto a quanto già dichiarato in precedenza. 

L’indagine, ricordiamo, ha portato all'imputazione di 22 persone con l’accusa, a vario titolo, di associazione finalizzata alla turbativa delle aste fallimentari presso il Tribunale di Avellino, alla tentata estorsione e all’intestazione fittizia di beni.

Tra questi, anche Pasquale Galdieri, detto O' milord, suo fratello Nicola e Damiano Genovese, accusati - ricordiamo - di aver alterato l'esito delle aste giudiziarie del Tribunale, alle volte sia promettendo agli esecutati di rientrare in possesso del proprio immobile in cambio di un corrispettivo in denaro, sia minacciando gli interessati ai beni di far andare deserte le procedure. 

A capo del giro d’affari i cosiddetti Tre tre, Armando Aprile e i fratelli Livia e Modestino Forte, molto conosciuti in città. Erano loro che, attraverso le società delle quali erano titolari, riciclavano poi il denaro estorto. Un sistema perfetto, che andava avanti da più di dieci anni, e che proprio dopo l’interessamento dei fratelli Galdieri inizia a perdere colpi. I modi violenti e brutali del clan di Capocastello, che nel frattempo aveva stretto il sodalizio con i Tre Tre, non piacevano agli ideatori, come non gli piaceva quel 33% dell’introito che i Galdieri pretendevano se a portare i clienti fossero stati proprio loro. E poi il blitz, che improvvisamente interrompe il sistema.