Omicidio Gioia, la difesa di Limata: "È la figura debole della coppia criminale"

In aula i consulenti per la difesa di Giovanni, materiale esecutore del delitto di Aldo Gioia

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Avellino.  

"I due imputati Elena e Giovanni sono affetti da un disturbo psicotico condiviso. Rientrano nella classificazione della cosiddetta coppia criminale". È così che li ha definiti questa mattina la dottoressa Giulia Bocchino, consulente di parte della difesa di Giovanni Limata, esperta in psicocriminologia, nel corso della nuova udienza per il processo dell’omicidio di Aldo Gioia. Questa mattina in aula i periti che hanno analizzato lo stato neuropsichiatrico dei due ragazzi accusati dell’omicidio.  

Secondo la relazione della professionista,tra i due ex fidanzati intercorrebbe una relazione di matrice criminale in cui Elena Gioia rappresenterebbe il soggetto induttore che, attraverso la manipolazione, avrebbe preso il sopravvento sulla mente debole di Giovanni Limata, inducendolo a compiere il delitto, spinto dal desiderio di compiacere la sua compagna.
La perizia compiuta dell'esperta si sarebbe focalizzata sulle chat intercorse tra i due fidanzatini nei cinque giorni antecedenti l'omicidio. In modo particolare, questo tipo di rapporto - cosiddetto patologico - risulterebbe evidente in alcuni messaggi inviati da Elena a Giovanni: "Spero che dopo ciò non si parli più della mia famiglia. Ho sempre sognato che morissero in un incidente stradale" - "Non mi importa niente di loro, io voglio stare con te".
Sulle difficoltà di Giovanni, invece, ritorna lo psichiatra Paolo Cavalli: "Il ragazzo è affetto da un serio disturbo psichiatrico della personalità, caratterizzato da comportamenti narcisistici, autolesionistici di tipo borderline".
L'esperto spiega alla corte che tutte le perizie redatte in precedenza dagli altri consulenti sarebbero carenti di un aspetto, a suo avviso, fondamentale: il senso di abbandono.
Viene chiesto a Giovanni quale fosse stato il momento più buio della sua vita. Il giovane risponde: "Il ricordo più buio della mia vita è stato l'abbandono. Quando a cinque anni sono venuti a prendere me e la mia sorellina e ci hanno portati in casa famiglia".
Secondo l'esperto, tutti i disagi psicologici ed emotivi del ragazzo derivano dal terrore dell'abbandono sviluppato in tenera età. Questo condurrebbe sistematicamente Giovanni a compiere gesti autolesionistici. Si potrebbe addirittura pensare che, in realtà, il gesto da lui compiuto nei confronti del suocero, rappresenterebbe un tentativo di rivalersi nei confronti della figura paterna.
L'ultima consulenza rappresentata in aula è della dottoressa Carmen Iannucci, esperta in scienze forensi, focalizzata sull'esame dei verbali di polizia giudiziaria.
Secondo la consulente, le indagini non sarebbero state condotte in modo adeguato: "La scena del crimine è stata inquinata. Non sono stati rispettati i protocolli di sicurezza che andrebbero applicati in questi casi".
La consulente, inoltre, avrebbe addirittura ipotizzato la presenza di un'altra persona in casa Gioia la notte dell'aggressione. Ipotesi avvalorata, stando a quanto riferisce in aula, da alcune tracce ematiche sconosciute e non repertate dagli inquirenti.
Una tesi, quest'ultima, fortemente respinta dal pm Vincenzo Russo, il quale riferiva che, ovviamente, quest'ultima affermazione non coincide minimamente con quanto emerso fino a questo momento in sede processuale.

Reso noto, infine, il contenuto della lettera che Giovanni Limata ha fatto recapitare alla corte durante scorsa udienza: "Chiedo scusa a tutti. So che ciò che ho fatto non potrà essere mai perdonato. Ho fatto ciò che ho fatto perché volevo salvare Elena dal male che diceva di ricevere. Solo ora mi rendo conto degli schiaffi che ho ricevuto e dell'infanzia difficile che ho vissuto". 
Il processo è stato rinviato al 22 giugno, data in cui è prevista l'escussione dei consulenti di difesa per Elena Gioia.