Filiera rifiuti nel Sannio. L'impasse che costa caro ai cittadini e i progetti

L'indirizzo del Piano dell'Ato: tecnologie all'avanguardia per ottenere un'economia circolare

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Benevento.  

Economia circolare e Css, ovvero guadagnare dallo smaltimento dei rifiuti che può avvenire grazie agli impianti che producono il combustibile solido secondario (Css), oggi utilizzato nei cementifici ma che nel futuro prossimo potrebbe rappresentare un'energia alternativa efficace e sostenibile ai combustibili fossili con il risultato di azzerare o quasi l'immissione in discarica.

C'è tutto questo nell'idea di Massimo Romito, direttore dell'Ato rifiuti sannita, presieduto da Pasquale Iacovella che è anche sindaco di Casalduni, che ha redatto il piano per i rifiuti della provincia sannita che ora è in attesa dell'approvazione, o meglio l'adozione, da parte del consiglio d'ambito che dovrebbe riunirsi a breve altrimenti il tutto slitterebbe a metà marzo dopo l'elezione del nuovo consiglio in seno all'Ato.

Tempi stretti, dunque, per avviare, almeno sulla carta, quella che potrebbe essere, finalmente, una soluzione definitiva al problema smaltimento dei rifiuti per il Sannio.

La situazione attuale

Una piccola provincia, sia pur estesa territorialmente, dove prevalentemente la raccolta differenziata da anni si fa bene con premi elargiti a destra e a manca dai vari organismi ma che a ben poco o nulla servono per i cittadini costretti a pagare una Tarsu salatissima. Questo principalmente perchè i rifiuti che con diligenza vengono differenziati nelle case sannite non finiscono negli impianti ubicati nel Sannio che potrebbero generare ricchezza e servizi, bensì finiscono in altre province perchè nel Sannio non ci sono più impianti per lo smaltimento. E per fare questi trasferimenti, vuoi a Tufino, vuoi in Irpinia o da qualsiasi altra parte, i Comuni sborsano anche 270 euro a tonnellata contro i 70 circa che costerebbe trattare l'immondizia – che poi immondizia non è – in loco creando altre forme di guadagno. A tutto questo si aggiunge che lo Stir di Casalduni, più volte bloccato dagli incendi, sui quali resta il mistero, è stato definitivamente messo fuori uso circa 4 anni fa con l'ultimo rogo divampato che ha praticamente compromesso struttura e macchinari. Ed ancora: la Samte, la società della Provincia in bilico - per problemi economici - tra la messa in liquidazione, la chiusura totale o si spera il reimpiego delle professionalità. Una situazione grave che con il passare degli anni sembra fossilizzarsi anche se le idee ci sono.

Il Piano dell'Ato

Fatto il lungo preambolo, necessario per capire come sta effettivamente la situazione nel Sannio sul fronte dei rifiuti, tocca ora all'Ato giocare la carta del piano ormai pronto, redatto e rilegato in formato cartaceo e digitale. Necessario che il consiglio formato dagli amministratori comunali faccia proprio il documento “altrimenti – rimarca Romito – resta un bel documento tecnico. Penso che sia opportuno che il consiglio vigente approvi questo piano già condiviso”.

Ma al piano per la lavorazione smaltimento dei rifiuti manca un altro tassello fondamentale, forse il principale: “Manca l'impiantistica. Dobbiamo cominciare a ragionare non come singoli paesi ma con i sub ambiti. Aree vaste della provincia con un perno centrale: la rimodulazione, il revamping degli impianti esistenti (Stir di Casalduni ndr) e la realizzazione di un impianto di digestione anaerobica che consentirebbe di raggiungere l'autosufficienza per le maggiori categorie di rifiuti”.

Al centro del revamping c'è ovviamente lo Stir di Casalduni: “Immaginiamo una rimodulazione di quell'impianto in maniera differente da come indica la Regione – spiega Romito – con una profonda trasformazione di Casalduni avviando così l'economia circolare sul ciclo integrato dei rifiuti. Questo piano dura dieci anni e dobbiamo per questo ragionare guardando al futuro. Dobbiamo immaginare un sistema in questa direzione. Al centro del piano, dunque, il recupero energetico, la produzione del biometano, recupero di quello che viene dalla digestione anaerobica e discarica di servizio”.

Nella pratica: “Allo Stir è ormai impensabile continuare a fare ecoballe e di portarle ad Acerra per incenerirle. Così è solo un costo e nessun rientro economico. Per efficientare questo sistema dobbiamo recuperare invece centesimi da ogni pezzo della filiera”.

Per fare questo il direttore dell'Ato ha elaborato un piano: “C'è una nuova, o meglio una situazione oggi attuale: la produzione del Css che diventerà un non rifiuto che oggi si può utilizzare solo nei cementifici. Tra qualche anno invece le norme saranno adeguate alla direttiva europeo. Esattamente come la Campania sta facendo a Tufino. A questo impianto bisogna legare tutta la filiera del trattamento della frazione secca riciclabile come vetro, plastica, carta, alluminio etc... che presso questo impianto in modo che lo scarto di lavorazione di uno di questi prodotti diventi la materia prima dell'altro. Esempio: faccio la selezione della plastica e lo scarto diventa materia prima per il Css che può finanche essere costituito da quel poco che rimane della frazione organica stabilizzata. Molto meglio questo che non un impianto di compostaggio da 20mila tonnellate come prevede la Regione e che non sarebbe sufficiente per la provincia di Benevento che invece produce 32 mila tonnellate di rifiuti”.

Romito punta il dito contro il piano della Regione anche per il previsto Piano di trasferenza: “Bene, ma per trasferire i rifiuti dove? Non si sa. Due impianti di compostaggio previsti dalla Regione dal costo di 20 milioni di euro ma noi invece proponiamo un impianto unico da 35mila tonnellate e tecnologicamente molto più avanzato. Un sito ex novo che risolverebbe davvero i problemi di questa provincia”.

Insomma, secondo Romito la rotta deve cambiare radicalmente “non è possibile fare un impianto che la Regione vuole presso lo Stir anche per via degli spazi. È illogico fare un piccolo impianto di compostaggio a Casalduni”.

Regione che ovviamente non sarebbe contraria ad una nuova impostazione purchè ci sia un sito già definito per la costruzione dell'impianto. Particolare fondamentale che allo stato non c'è. Dopo qualche timida proposta da parte dei Comuni, infatti, nessuno si è più fatto avanti “Questo modo di fare non lo capirò mai forse perchè non sono un politico. Non stiamo certo parlando di serre per i fiori ma comunque di impianti industriali che funzionano bene e questo terrore è ingiustificato visto che da anni e anni queste attività convivono con le aree urbane. “Ognuno fa per se – conclude Romito – ed è proprio questo l'errore che si sta facendo. Dobbiamo ragionare per aree vaste e non per singolo Comune altrimenti da questa situazione non usciremo mai. Ed è arrivato il momento che la politica faccia la sua parte”.