Le mie origini equamente distribuite tra la provincia beneventana - in qualità di suo figlio adottivo - e quella avellinese - dove le radici sono invece geniche e ancestrali - mi hanno consentito di accedere ai miti e alle superstizioni che curiosamente prosperavano in quelle aree della nostra regione da molti ancora oggi solo in parte conosciute. Tra tante rammento con particolare tenerezza e (allo stesso tempo) sgomento quelle riferite ai racconti dei miei anni infantili, allora più sussurrati che resi espliciti, su streghe e fattucchiere. Dalle janare (la forma lessicale campana di streghe) da tener lontane dalle porte di casa (dal latino ianua, porta, appunto) grazie ai fili di una scopa o ai granelli di un sacchetto di sale, la cui conta pare fosse una pratica irresistibile per quegli "obbrobri della natura umana" che così perdevano la cognizione del tempo fino al sopraggiungere (per loro) mortale della luce del giorno, alle fittissime e inestricabili trecce che qualcuno favoleggiava di aver trovato ai miei risvegli in alta Irpinia alle criniere di cavalli sudati - pare che quelle creature infernali gradissero particolarmente cavalcare tutta la notte giumente incolpevoli lasciando proprio quella traccia del loro terrificante passaggio. Solo tempo dopo - oramai adulto - ho colto dell'esistenza di quelle magiche figure solo l'aspetto iconografico e commerciale, come un'etichetta buona per liquori, cioccolate e squadre di calcio. Eppure si dice stregato, per dar conto di un rapimento inspiegabile e nefasto (ma non sempre) o per giustificare un cedimento o un misfatto al di sopra delle proprie possibilità di controllo o raziocinio. Ma perché l'aggettivo è sostantivato malevolmente solo al femminile? E perchè l'area tra Benevento e Avellino era - lo è ancora oggi nell'immaginario collettivo - la culla di tanta maleficenza?
Si racconta che le streghe proprio in un punto boschivo indefinito tra le due province campane pare avessero il loro punto d'incontro, il Noce di Benevento, quello invocato nella formula magica delle fattucchiere perseguitate in epoca medievale, e sede dei fantomatici saba, i convegni di streghe che pare si svolgessero "in presenza del demonio e durante i quali venivano compiute pratiche magiche, orge diaboliche e riti blasfemi". Una vecchia storia, insomma, anche atroce, infima e vergognosa, ma che a guardar bene potrebbe raccontare un'eccezione o una straordinarietà troppo spesso - e proditoriamente - taciuta. Tutto comincerebbe in un'epoca lontanissima, quando in quei luoghi, ben celati alle concupite coste partenopee, peraltro già largamente cristianizzati, si aggirava (fin dal VI secolo d.C.) la popolazione pagana dei longobardi. Una singolare eterogeneità religiosa tollerata e tollerante proprio in quelle terre si era così realizzata. Un quilibrio duale tra il solo Dio dei sanniti ormai pastoralizzati, anche se più vicini ad Abramo che a Gesù, e quell'affollata cosmogonia di dei e di loro derivati propria di una popolazione pagana, produsse in quei luoghi prima (e per secoli) un benefico contrasto carico di una libertà di fede e di costumi altrove spesso sconosciuta, e solo poi un bisogno impellente di uniformare il tessuto sociale a regole morali rigide, uniche e indivisibili (come il solo Dio), a loro volta generatrici di leggi (e pene) tanto rigorose quanto discriminatorie. Tutto ciò che era estraneo ai Dieci Comandamenti diventò male, oltraggio, delitto e danno. E quale migliore occasione di una popolazione contadina e agreste per trasformare le eccezioni (etiche) in reati? E quale migliore fascia di quella popolazione colpire di una tutta femminile, la più debole, la più indifesa, la più emarginata, la meno "necessaria" e la più (già di suo) sottomessa? Bastava trovare tra le donne quelle più belle, quelle più libere, quelle più argute, quelle più forti o solo più ribelli e il gioco era fatto. Scattavano la tortura e la confessione - solo molti secoli dopo riconosciute entrambe inappropriate a raccontare una colpa e la sua espiazione - e da lì la storia seguiva il suo (falso) corso. Secoli di persecuzioni, da quella capitale del crimine femminile che fu Benevento e dintorni a tutta Europa - solo in Germania a metà del secondo millennio si contarono in meno di cent'anni più di 100.000 esecuzioni sommarie per stregoneria - per affermare una necessità tutta maschile di dominio fisico e morale sulla donna travestito da puritanesimo religioso. Chi ne ha piacere può recitare la lunga lista dei nomi di quelle cosiddette "streghe beneventane", la cui morte invece di togliere valore a quelle "messaline malvage e servitrici del Maligno", gliel'hanno ingigantito fino a farle diventare, in un mondo ottenebrato dall'odio e dall'oscurantismo di genere, emblemi di indipendenza e autentica femminilità. Altro che streghe, quelle di Benevento possono essere oggi ragionevolmente additate come le prime donne dell'era moderna. E tutto ciò in pieno medioevo. Delle vere eroine, le cui indelebili impronte possiamo ancora ritrovare nelle strade e nelle piazze del capoluogo sannita o di quello irpino ogni volta che incontriamo uno di quei meravigliosi esemplari di fierezza e redenzione che sono le donne di ogni età e di ogni estrazione sociale che lì ora liberamente vivono.
