Villa Margherita, come è stato possibile?

Il caso dei contagi nella struttura di Piano Cappelle

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Benevento.  

Una brutta storia. Un 'casino' verrebbe da definirlo, ma in questo caso c'è davvero poco da scherzare. Perchè la situazione emersa a Villa Margherita, il centro di riabilitazione di contrada Piano Cappelle che negli anni è diventato un punto di rifermento anche extra provincia, offre più di un motivo di preoccupazione legato al rischio di un allargamento del contagio. Speriamo non accada, ovviamente, ma l'accaduto impone una benchè minima riflessione. Augurandoci, nel frattempo, che i buoi non siano fuggiti tutti dalla stalla.

Andiamo con ordine: 25, 27, 28, il ballo dei numeri circolati ieri assume, a questo punto, una valenza del tutto trascurabile rispetto a ciò che quei dati significano. Abbiamo in questi giorni registrato le versioni ufficiali sia della casa di cura, sia dell'Asl.

Era il 24 marzo quando Ottopagine, di fronte alla trasmissione di messaggi whats app che prefiguravano scenari inquietanti, aveva interpellato, con il collega Alessandro Fallarino, Claudio  Di Gioia, direttore sanitario della struttura. “Uno dei nostri pazienti ha manifestato sintomi compatibili con il coronavirus – aveva spiegato -. Abbiamo immediatamente allertato le autorità sanitarie e trasferito l'uomo all'ospedale San Pio. Siamo in attesa di conoscere l'esito dei tamponi, nel frattempo, ovviamente, abbiamo attivato tutte le procedure previste quando in una struttura sanitaria si ha un sospetto del genere”.

Ieri sera, invece, l'Azienda sanitaria, oltre a confermare la positività al Covid-19 di 25 tamponi, ha annunciato di essere entrata in azione dopo “la segnalazione pervenuta nella giornata del 23 marzo scorso a questa Azienda da parte dei responsabili del centro di riabilitazione relativa al ricovero”, e che il Dipartimento di Prevenzione, “nonostante l’esito del tampone effettuato sull’uomo non fosse stato e non è stato tuttora comunicato, si è immediatamente attivato, effettuando tamponi a tutti i soggetti che presentavano sintomatologia sospetta e invitando i gestori della struttura di riabilitazione a non dimettere gli ospiti del centro almeno fino alla trasmissione dei risultati dei test”.

Fin qui la successione degli eventi, sullo sfondo una sola domanda: come è stato possibile accogliere il 10 marzo, in piena epidemia, un paziente proveniente da Avellino – destinato alla riabilitazione ortopedica-, poi trasportato al Rummo il 23 marzo per problemi respiratori, senza coltivare un benchè minimo sospetto preventivo, senza adottare, evidentemente, la necessaria attenzione?

Chiederlo ex post è senz'altro più facile, ma una struttura sanitaria non è un giornale che pone domande.