Straordinario, Cantone: eravamo autorizzati. Lollo: sempre fatto più del dovuto

Interrogati i due poliziotti sospesi per un anno dall'esercizio dei pubblici uffici

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Benevento.  

Hanno entrambi risposto alle domande, durante gli interrogatori di garanzia di questa mattina, i due poliziotti sospesi per un anno dall'esercizio dei pubblici uffici perchè tirati in ballo da una inchiesta del sostituto procuratore Assunta Tillo e della Digos su una presunta truffa in materia di ore di straordinario.

La prima a comparire dinanzi al gip Vincenzo Landolfi, che ha disposto la misura, è stata Maria Cantone, assistente capo coordinatore della Digos, difesa dall'avvocato Angelo Leone. Per circa un'ora e mezza l'indagata ha offerto la sua versione, spiegando di aver agito sulla scorta di una presunta autorizzazione del Questore, che durante il lockdown del 2020 (a Cantone vengono contestati episodi tra marzo e maggio, per un importo complessivo di circa 480 euro ), d'intesa con le rappresentanze sindacali, avrebbe chiesto al personale – ha affermato - turni di lavoro a gruppi dalle 8 alle 20, con la possibilità di anticipare di un'ora l'orario di inizio e di posticipare di due quello della conclusione, per non perdere lo straordinario programmato.

Quanto all'ipotesi di omissione in atti di ufficio, ravvisata nel dicembre del 2019 per alcuni controlli sui cittadini stranieri, Cantone ha replicato di non essere mai stata a conoscenza delle direttive impartite dal Ministero, e che gli ordini di servizio non avevano indicazioni precise sulle attività da svolgere.

Più lungo di un'ora, invece, l'interrogatorio di Giovanni Lollo, ispettore superiore presso l'Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico, sott'inchiesta per truffa e tentata truffa sullo straordinario (75 euro in entrambi i casi), peculato, omissione in atti di ufficio e rivelazione di segreti di ufficio.

Assistito dall'avvocato Marcello D'Auria, Lollo ha rivendicato di aver sempre operato solo per l'ufficio , e di aver fatto più del dovuto, tanto che avrebbe potuto ottenere il corrispettivo di molte più ore di lavoro 'extra'. Ha escluso di aver usato l'auto di servizio per fini personali, ha motivato il possesso di un computer che gli era stato sequestrato in casa durante una perquisizione con la circostanza che il giorno successivo sarebbe stato in smart working.

Ha respinto l'accusa di non aver effettuato i controlli, poi ha motivato l'accesso alla banca dati con ragioni di ordine pubblico legate alle richieste che gli arrivavano da un ex collega, preoccupato per il susseguirsi di furti nel centro della provincia di cui era consigliere comunale con delega alla sicurezza. Da qui la ricerca di informazioni sulle targhe di alcune macchine sospette agli occhi di un poliziotto in pensione per il quale, al pari di altri due, il Pm non ha proposto alcuna misura.

Nel mirino degli inquirenti, come anticipato, sono finiti, complessivamente, il contenuto di alcune relazioni di servizio e le attestazioni sottoscritte sui percorsi effettuati ed i chilometri, sulle uscite ed il rientro dei mezzi e sulle ore di straordinario.

Entrambi i difensori hanno chiesto la revoca della misura, incrociando il parere negativo del pm Tillo. A decidere sarà il gip Landolfi.

L'attività investigativa, corroborata dalla comparazione tra le attestazioni ed i dati restituiti dalla videosorveglianza, dal Sistema centralizzato di targhe e transiti, dalle celle telefoniche, avrebbe consentito di acquisire una serie di indizi su Lollo e Cantone, raggiunti dalla misura sul presupposto del pericolo di reiterazione del reato. L'interdizione – il Pm aveva proposto i domiciliari per Lollo e l'obbligo di dimora a Montesarchio per Cantone - “è idonea – aveva scritto il Gip - a soddisfare le esigenze cautelari, impedendo agli indagati di continuare ad abusare delle loro qualifiche, ed estromettendoli da contesto lavorativo pubblico di appartenenza”.