Coronavirus, Lonardo (FI): un unico diritto alla salute

L’assistenza sanitaria dei cittadini non può essere messa in discussione

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Benevento.  

“Mi sono occupata, in una precedente nota data alla stampa nazionale e internazionale, della recessione che sta, progressivamente, accompagnando la crisi epidemiologica, che ci ha investito e ancora ci attanaglia, e della necessità di un grande piano Marshall, per evocare un periodo post-bellico ritenuto da tempo superato. La mia idea è stata ripresa da molti, sia a livello politico sia del dibattito culturale. La recessione che temo è quella che rischia di incidere sulla vita dei cittadini in maniera così profonda da impedire loro, per grandi fette della popolazione, di sostenere bisogni primari e dignità umana, a cui tutti hanno diritto. Questo aspetto minaccia la vita delle persone, allo stesso modo del Coronavirus, ma aggredisce soprattutto i giovani e le speranze nel futuro".
Così la senatrice di Forza Italia Sandra Lonardo che in una nota prosegue: "Detto ciò, mi voglio occupare di un altro aspetto. Anch’esso minaccia la vita delle persone, non è avvertito come prioritario, è subdolo e mette a repentaglio l’esistenza umana giorno per giorno senza accorgercene. Mi riferisco all’assistenza sanitaria ordinaria, quella di cui abbiamo goduto nel modello di Stato sociale di diritto che ci appartiene. L’assistenza sanitaria dei cittadini italiani, non solo è in gravissimo pericolo, si sta smantellando sotto i colpi dell’emergenza, sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno se ne accorga o dica niente. Per combattere la giusta causa della guerra al virus mortale, si mettono da parte, a cuor leggero, risorse professionali ed economiche di eccellenza, garanzie di sicurezza sociale maturate nel tempo. In altre parole, si tengono “ferme” le attività di strutture sanitarie che hanno dato sul campo, e non da oggi, prova di qualità assistenziale per affrontare domani, non si sa come e non si sa quando, il rischio del contagio diffuso. L’assistenza sanitaria dei cittadini non può essere messa in discussione fino a questo punto, altrimenti si comprime un diritto alla salute per tutelarne un altro. Un tale bilanciamento non può essere risolto a favore solo della lotta al Coronavirus. L’esito dietro l’angolo è che sommeremmo ai morti per la pandemia ultima, quelli che non possono essere assistiti e curati a causa della mancanza di posti letto nelle strutture sanitarie, pubbliche e private, posti letto “requisiti” dall’autorità pubblica e in gran parte inutilizzati. Mi consta che migliaia di posti letto sono vuoti e attendono di essere finalizzati alla cura delle persone non affette da Coronavirus ma gravate da malattie invalidanti e spesso mortali. Il numero di queste persone non è solo di gran lunga superiore a quelle che hanno contratto il Covid-19 ma attende con urgenza di rientrare in un circuito virtuoso di programmazione pubblico-privata che fino ad un mese fa c’era , ora non c’é più. La situazione si sta degradando velocemente. Se la politica con la P maiuscola non mette attenzione a questo problema e non porta tempestivo riparo a questo rilevantissimo effetto collaterale dell’emergenza epidemiologica in atto, raccoglieremo  le macerie del sistema sanitario nazionale e di quelli regionali, senza cogliere l’opportunità che ci è offerta per un suo rilancio. Sì, perché anche in queste condizioni estreme è possibile migliorare e migliorarsi, non aprendo inutili fronti di conflitto pubblico/privato, come quelli che vedo in giro, ma ritornando, per questa strada, all’unita nazionale. Se il diritto alla salute è coesivamente inteso, tutti gli attori possono concorrervi e devono farlo. So che le imprese sanitarie italiane hanno risposto affermativamente alla chiamata alle armi nella dura vicenda “bellica” che ci coinvolge, hanno accettato di buon grado una sospensione dei ricoveri durissima per i pazienti e per le loro famiglie, per i lavoratori del settore e le loro famiglie. Non si può non dare loro una risposta univoca, razionale, di certo benefica per il sistema, che altrimenti registrerà il danno e la beffa”.