Il Var, Mazzoleni e la triste commedia della "discrezionalità"

Episodi che evidenziano come uno strumento eccellente mal gestito possa creare disastri e danni

il var mazzoleni e la triste commedia della discrezionalita
Benevento.  

Già iniziano a pompare acqua gli idranti d'ordinanza, abituati a intervenire già al primo olezzo di fumo hanno ora il loro da fare con l'incendio divampato dopo Benevento – Cagliari.
La butteranno sul Benevento che ha dilapidato un vantaggio importante (e chi lo ha mai negato?), su un Cagliari che è più forte e attrezzato (ancora: chi lo ha mai negato?), sugli errori che capitano e capiteranno, sul non alimentare la cultura del sospetto: prestampati manuali, idranti d'ordinanza appunto.
La cultura del sospetto, però, va debellata con elementi certi, chiari, incontrovertibili: e quelli, ahinoi, mancano al dibattito come manca il rigore su Viola.
Mancano, perché se lo stesso addetto al var viene inviato per due gare consecutive a dirigere la stessa squadra, condizionandole pesantemente in favore di quella squadra, non possono non sorgere sospetti.


Mancano perché se nelle due gare consecutive l'oggetto delle contestazioni, ovvero l'intensità di un contatto, viene trattato in maniera opposta non possono non sorgere sospetti.
L'arbitro Fabbri nella partita tra Cagliari e Napoli ha infatti considerato “intenso” un contatto per la verità assai blando tra Osimhen e il difensore dei sardi Godin, annullando il gol del 2 a 0 agli azzurri: si è detto che il var, qui, non poteva intervenire perché l'intensità dei contatti spetta agli arbitri.
L'arbitro Doveri, nella partita tra Benevento e Cagliari fischia rigore per un contatto per la verità netto tra Asamoah e Viola, ma viene richiamato dal var, lo stesso della partita precedente, perché forse il contatto non è poi così intenso.


Ora, chi conosce  calcisticamente Nicolas Viola sa che dopo aver superato un avversario ed essersi aperto la strada per liberare il sinistro, avrebbe tirato e non cercato il rigore; chi ha messo piede tre volte in un campo di calcio sa che se un giocatore va via in velocità anche un contatto minimo lo sbilancerà in maniera decisiva...figuriamoci una gamba piantata a terra che ti urta.
Ma non è questo il punto.
Il punto è: perché in due partite a distanza di una settimana viene applicata una gestione completamente opposta per la stessa fattispecie di episodio dallo stesso addetto al var?
Oggi qualcuno risponde: Mazzoleni è scarso. Bene, Mazzoleni è, notoriamente, quello che ha devastato il Napoli nella finale di Supercoppa Italiana di Pechino del 2012, quello che è riuscito a espellere un calciatore che si lamentava dei buu razzisti, che ha puntualmente condizionato gare, sempre alla stessa maniera, negando rigori, cacciando calciatori in maniera severissima o applicando il massimo dell'indulgenza all'inverso. Resterà nella storia come arbitro dei disastri... ma se Mazzoleni è così scarso, e oggi lo riconoscono tutti, e il suo nome è associato a palesi debacle, per quale ragione ha alle spalle 16 anni di carriera sempre ai massimi livelli, con 7 anni da internazionale?
Per quale ragione un arbitro che oggi tutti riconoscono come “scarso” dopo il pensionamento viene ancora coinvolto nelle gare di serie A come addetto al Var? Di solito i premiati dovrebbero essere “i bravi”, non “gli scarsi”.

Quanto al var e alla capacità di valutare in maniera opposta le situazioni, anche nella stessa partita, bisognerebbe riavvolgere il nastro e ritornare agli albori della sua introduzione.
Nelle prime gare del campionato 2017/2018 la tecnologia veniva usata praticamente sempre
(da queste parti si ricorderà ad esempio il gol annullato a Lucioni contro il Bologna) in caso di dubbio. Giustamente: se in un caso di cronaca un investigatore o un inquirente avesse la possibilità di guardare la dinamica registrata dalle telecamere, la guarderebbe ovviamente.


E invece dopo polemiche e caos (“Così le partite durano 3 ore” disse qualcuno) fu documentata una sorta di fronda da parte di pezzi della classe arbitrale in nome del “Dov'è finita la discrezionalità?”, che coincise con il boicottaggio della strumentazione, preferendo spesso non utilizzarla (e qui ritorna l'esempio del caso di cronaca, l'investigatore che con le immagini di un omicidio a disposizione decide di non guardarle... “mi fido del mio istinto”).
Poi è arrivata la discrezionalità, sia per gli arbitri che per il Var: quella discrezionalità che portava il var a richiamare Orsato per fargli rivedere un cartellino giallo per Vecino, trasformandolo in rosso, mentre era silente su un macroscopico fallo di Pjanic già ammonito.
Una declinazione di discrezionalità che ricorda la parodia di Corrado Guzzanti della Casa delle Libertà, con lo spot che si conclude con la canzone "Disco Samba" (Brigitte Bardot Bardot) e la voce del comico che recita: "La casa delle Libertà: facciamo un po' come c... ci pare". 
E forse di discrezionalità si tratta quando in una gara non si può intervenire per segnalare che un fallo non è un fallo, mentre in quella successiva la discrezione suggerisce di intervenire e segnalare che un fallo non è fallo, di non suggerire che forse Pavoletti già ammonito gioca troppo coi gomiti e meriterebbe attenzione. Ecc. Ecc. Ecc.
E dunque, quando designatori e capi della classe arbitrale rivendicano tronfi che “col var abbiamo ridotto gli errori dell'85 per cento” aggiungano pure “il restante 15 per cento è discrezionalità”...
che sia discrezionalità casuale o sapientemente dosata è un altro discorso, di quelli che fanno partire gli idranti d'ordinanza.