La Polizia di Stato ha eseguito un ordine di carcerazione nei confronti di Ivo Capone, 55enne affiliato al clan dei Casalesi della fazione Schiavone, guidata dal boss Francesco Schiavone, noto come Sandokan. L’uomo dovrà scontare la pena residua di oltre 5 anni per tentata estorsione e tentata rapina aggravate dal metodo mafioso. È stato condotto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Le indagini della Squadra Mobile di Caserta, poi confermate in sede processuale, hanno ricostruito il ruolo di Capone nel sistema criminale del clan. La sua attività risale almeno al 2009, quando, insieme ad altri affiliati, imponeva agli organizzatori di feste di piazza e alle emittenti locali di ingaggiare specifici cantanti neomelodici vicini alla cosca. Tra questi, anche la compagna di un boss all’epoca arrestato.
Quello che sembrava un normale contratto artistico era in realtà una subdola forma di estorsione. Solo una piccola parte del compenso finiva all’artista, mentre la maggior parte dei soldi andava a finanziare le casse del clan o arricchire singoli affiliati, consolidando il potere economico dell’organizzazione.
Ma il racket di Capone non si fermava allo spettacolo. Nell’agro aversano, lui e i suoi complici imponevano il pizzo ai commercianti della zona, affiancando alla classica richiesta estorsiva l’obbligo di acquistare gadget pubblicitari come calendari, agende e accendini a prezzi esorbitanti, in una forma di estorsione camuffata da transazione commerciale.
L’arresto per l’esecuzione della pena residua rappresenta l’epilodo di una lunga indagine e un colpo alle attività di ricicaggio e autofinanziamento del sodalizio. Dimostra come la persistenza delle forze dell’ordine nel far scontare le pene sia un tassello fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata, che non sempre si combatte solo con i maxi-blitz, ma anche con la tenacia amministrativa della giustizia.
