"Stop allenamenti in zone rosse? Ennesima disparità"

E' quanto evidenziano in un comunicato congiunto gli Enti di Promozione Sportiva

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"Chi non rispetta il protocollo? La scelta di sospendere, nelle zone rosse, gli allenamenti degli atleti degli Enti di Promozione Sportiva, e' l'ennesima disparita' di trattamento che si trova costretto a subire il mondo dello sport di base. Un provvedimento inserito nelle FAQ del Dipartimento Sport nonostante non trovi alcun riscontro nel Dpcm in vigore da oggi". E' quanto evidenziano in un comunicato congiunto gli Enti di Promozione Sportiva. "Purtroppo non e' il primo episodio, anzi:
da quando e' iniziata la pandemia gli Enti di promozione sportiva hanno piu' volte denunciato i contenuti di misure a due marce, come se il virus potesse aggirarsi solo nelle palestre di ASD e SSD affiliate agli Enti di Promozione, e non invece all'interno di strutture di altri organismi sportivi", si legge.

"Lo ribadiamo oggi ancora piu' forti e uniti, attraverso il Coordinamento degli EPS presso il CONI: non e' una diversa tessera che puo' fare la differenza! Il virus - prosegue la nota - non distingue colori, ne' simboli! Quando decide di contagiare, lo fa ovunque e con chiunque. Dall'impianto di quartiere ai ritiri della Serie A! Non abbiamo niente in contrario con la ripartenza dello sport professionistico. Non si inneschi stavolta una guerra a chi tira giu' l'altro: vogliamo solo parita' di trattamento tra tutti gli Organismi Sportivi. Il discrimine deve essere la sicurezza e il rispetto dei protocolli, sicurezza e rispetto di protocolli che gli Enti di Promozione Sportiva hanno concordato con il Governo e imposto, non senza sacrifici di risorse e personale, alle loro Societa'. Chiediamo che nessuno possa essere lasciato indietro, che si ripensi alla scelta di considerare una tessera federale immune dal virus e quella di un Ente soggetto invece a contagio.
Con questo provvedimento, invece, il messaggio che passa continua ad essere quello di due pesi, due misure! Si', perche' e' arrivato il momento di denunciare anche questo: le nostre ASD e SSD in un anno di pandemia non hanno perso soltanto soldi e lavoro, ma anche migliaia di tesserati che - tra il restare fermi e il poter fare sport - hanno preferito tesserarsi con altri organismi ai quali invece era consentita ancora la pratica sportiva".

"Vogliamo ancora pensare - si legge ancora nella nota congiunta - che dietro tali scelte del Dipartimento non esista un pregiudizio nei confronti degli affiliati agli Enti, ma l'effetto che genera e' un diritto violato e una evidente discriminazione. Specie se si tiene in considerazione l'enorme sforzo e il grande senso di responsabilita' che le nostre Societa' hanno dimostrato fin qui.
Siamo gia' rimasti feriti per lo stop forzato alle nostre piscine e palestre lo scorso ottobre, soprattutto perche' ci era stato chiesto di adeguarci e noi lo avevamo fatto, salvo poi tornare indietro e dirci che dovevamo comunque chiudere".
"Spiace ricordare, inoltre, che un anno di pandemia ha portato gia' migliaia di realta' associative allo stremo, e tante hanno dovuto gia' chiudere i battenti con un evidente danno per i territori. La maggior parte di quelle che ancora resistono, lo fanno - continuano gli Enti - a fronte di aiuti dello Stato che non sono mai arrivati, o se sono arrivati erano comunque di gran lunga inferiori alle necessita': tamponare le ingenti perdite dovute alle chiusure, spese impreviste per adeguare le strutture con sanificazioni e rispetto dei protocolli".

"Chi non ha rispettato il protocollo non siamo noi, ma e' chi si e' preso il diritto di approntare scelte inique come l'ultima contenuta nelle FAQ del Dipartimento Sport. Un provvedimento che offende i nostri valori, la nostra valenza nel tessuto sociale italiano e la nostra serieta'! Noi - conclude la nota - i nostri protocolli li abbiamo sempre rispettati alla lettera, ma c'e' un altro protocollo che ancora una volta qualcuno non onora: il protocollo dell'uguaglianza, del diritto di tutti e per tutti, e soprattutto quello della serieta' e della parola data. Che in Italia, ci spiace constatarlo, continua a non avere grande valore".