Luigi Di Maio davanti ai giudici nel processo per la morte di Giulio Regeni. Nel corso dell’udienza tenutasi a Roma, Luigi Di Maio — oggi rappresentante speciale dell’Unione Europea per il Golfo — ha ricostruito i colloqui bilaterali avuti con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi durante il periodo in cui rivestiva incarichi di governo in Italia. L’ex ministro ha sottolineato come il caso Regeni fosse sempre presente nei dossier affrontati con le autorità egiziane, a partire dal 2018. Di Maio ha descritto l’atteggiamento dell’interlocutore come formalmente collaborativo, ma poco risolutivo.
Verità mancata
Promesse egiziane e delusione italiana nella ricostruzione dell’ex capo M5S
Nella sua deposizione, Di Maio ha messo in luce l’apparente disponibilità dell’Egitto a cooperare, sempre manifestata nei toni e nei protocolli diplomatici, ma priva di risultati concreti. Una distanza tra dichiarazioni e fatti che, secondo il teste, rispecchia la difficoltà italiana nel far luce su una vicenda rimasta dolorosamente irrisolta. L'ex ministro ha parlato con toni pacati, senza mai attribuire colpe dirette ma lasciando intendere l'inadeguatezza delle risposte egiziane.
Il contesto processuale
Il procedimento contro gli agenti dei servizi segreti egiziani si scontra con l’assenza degli imputati
Il processo in corso vede imputati quattro uomini appartenenti ai servizi segreti egiziani, accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni, ricercatore friulano scomparso al Cairo nel gennaio del 2016. L’assenza degli imputati, giudicati in contumacia, e l’ostruzionismo da parte delle autorità egiziane rendono il percorso giudiziario complesso e frustrante per i familiari della vittima. La testimonianza di Di Maio si inserisce nel tentativo del tribunale di ricostruire il contesto diplomatico in cui si è sviluppata la vicenda.
