Al Ministero della Cultura, appena un anno fa, sembrava già avessimo visto tutto, con il ministro Gennaro Sangiuliano (alias Genny il bello) folgorato da una passionale "biondona di Pompei" che, con minacce sensuali e graffi sulla calvizie ministeriale, aveva saputo portare la cronaca rosa a vette mai viste prima. Lui, oggi pacificato corrispondente Rai a Parigi (chissà se sa che Times Square non si trova a Londra?), probabilmente sorride al confronto con il caos attuale.
Perché oggi, tra i solenni corridoi del Collegio Romano, assistiamo a qualcosa di ancora più surreale: Alessandro Giuli, dandy-filosofo e orgoglioso del suo discutibile tatuaggio «non fascista, ma diversamente artistico», sta conducendo una personale crociata contro Lucia Borgonzoni, la sottosegretaria salviniana dai selfie facili e dalle deleghe complicate.
È una lotta fratricida che ha il sapore della commedia degli equivoci: Giuli, raffinato studioso di "riti religiosi" e convinto di essere contemporaneamente aborigeno e "aberrigeno", cerca di spiegare a tutti che il suo ritardo sui fondi al cinema non è ritardo ma "una visione postmoderna del tempo ministeriale". Borgonzoni, ormai saldata alla sua poltrona da tre governi, lo accusa invece apertamente e sogna di strappargli la preziosa firma sui documenti.
Un giorno il ministro prova a dialogare col cinema italiano, ma una malefica intervista della sua sottosegretaria a Libero manda all'aria ogni fragile proposito diplomatico. Giuli si arrabbia, si offende, si vendica togliendole l’invito a un importante vertice. Ma ecco intervenire il deus ex machina Salvini, e Lucia ritorna trionfante nella sala riunioni, accolta dai produttori con cori da stadio e flash dei fotografi. Giuli digrigna i denti, aggiustandosi cravattino e panciotto.
E non basta. Altri fantasmi agitano le notti del dandy meloniano: il potente Fazzolari, detto "Fazzo", gli fa periodici richiami («Giuli fa i capricci!»); il ministro della Difesa Guido Crosetto gli telefona infuriato per l'affare del Museo Egizio («Alessandro, la prossima volta mandami almeno un WhatsApp!»); e persino la presidente di Cinecittà, Chiara Sbarigia, stretta alleata della Borgonzoni, finisce per dimettersi in circostanze che ricordano vagamente i finali di stagione di "Gomorra".
Di fronte a tanto pandemonio, qualcuno rimpiange persino Sangiuliano, che alla fine era soltanto colpevole di aver dichiarato Dante un poeta di destra. E magari, a ripensarci, era più semplice: almeno lui non parlava in supercazzole.