Il cashmere del dolore: Loro Piana sotto accusa per caporalato

Il grido di un sarto schiavo accende una nuova inchiesta nella filiera del lusso italiano

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Un artigiano cinese di 62 anni, ridotto in condizioni di schiavitù e picchiato dopo aver chiesto lo stipendio, innesca un’indagine della Procura di Milano. Sotto amministrazione giudiziaria per un anno Loro Piana

La denuncia che rompe il silenzio. Tredici ore al giorno tra aghi, stoffe e soprusi. È la routine di un sarto cinese di 62 anni che vive e lavora in un dormitorio-capannone a Baranzate, hinterland milanese. Lavora senza riposi, con mezz’ora di pausa a pranzo e a cena. Riceve 1.500 euro al mese per cucire giacche in cashmere vendute a tremila. Quando chiede 10 mila euro di arretrati, il 16 gennaio scorso, viene aggredito brutalmente dal padrone cinese del laboratorio. Prima un pugno al petto, poi le percosse con un tubo. Viene soccorso, ma sul referto medico si parla di caduta da ubriaco. Da quella denuncia, parte un’inchiesta che travolge uno dei marchi più prestigiosi del lusso italiano.

Il mondo sommerso delle giacche di lusso

Dietro il nome Loro Piana si cela una catena di appalti e subappalti che porta alla frontiera dello sfruttamento. Il marchio, oggi controllato dal gruppo francese LVMH e guidato da Frédéric Arnault, figlio di Bernard, affida la produzione a ditte terze. Queste, a loro volta, delegano tutto a opifici cinesi situati in zone periferiche di Milano. I carabinieri del lavoro documentano operai che dormono in ripostigli, dispositivi di sicurezza rimossi dalle macchine per accelerare la produzione, tentativi di fuga durante i blitz. In questi luoghi l’illegalità è la regola.

Una filiera dove i diritti non entrano

Le giacche Loro Piana costano al cliente anche tremila euro, ma vengono pagate appena 80 euro a chi le produce. I fornitori ufficiali ricevono circa 118 euro al pezzo, ma esternalizzano a laboratori cinesi con costi minimi. Una realtà nota e tollerata, secondo la Procura di Milano, che accusa l’azienda di non aver fatto abbastanza per impedire lo sfruttamento. La sezione misure di prevenzione del Tribunale ha disposto l’amministrazione giudiziaria dell’azienda per un anno, su richiesta del pm Paolo Storari, con l’obiettivo di sanare un sistema che – nelle parole dei giudici – “agevola il caporalato”.

Il precedente di altri grandi marchi

Non è la prima volta che un brand del lusso finisce sotto la lente della giustizia. Prima di Loro Piana, erano già state coinvolte G.A. Operation, Manufactures Dior, Alviero Martini, Valentino Bag’s Lab. Tutte accusate di non vigilare sulla filiera e di esternalizzare senza controlli reali. Un mondo parallelo che vive ai margini della legalità, dove i codici etici servono più alla comunicazione che alla tutela concreta dei lavoratori.

La risposta del gruppo e la reazione politica

Loro Piana ha dichiarato di aver scoperto solo il 20 maggio l’esistenza degli opifici incriminati e di aver interrotto i rapporti in meno di 24 ore. Parla di “subfornitori non autorizzati” e nega che i costi indicati riflettano il reale valore della produzione. Intanto, la politica si muove: il Partito Democratico chiede misure strutturali contro lo sfruttamento, Alleanza Verdi-Sinistra propone una commissione d’inchiesta. Il tema tocca nervi scoperti: come si concilia il lusso con la dignità?

Una ferita che chiede giustizia

Il sarto che ha denunciato voleva solo essere pagato per il lavoro svolto. In cambio ha ricevuto botte, umiliazioni e un ricovero. La sua voce ha aperto uno squarcio su un sistema malato che ha radici profonde. La misura imposta dal Tribunale è un primo segnale, ma la domanda resta aperta: quanta verità è disposta a tollerare l’industria del lusso, pur di difendere il suo impero?