Il palco e il tempo. Sessantuno minuti netti, incastonati tra l’Angelus e la diretta del Tg1. Giorgia Meloni chiude Atreju dal palco di Castel Sant’Angelo, il luogo simbolo della sua comunità politica, davanti a una folla che riempie ogni spazio disponibile. È il momento più atteso della festa di Fratelli d’Italia e la presidente del Consiglio lo usa per parlare soprattutto al Paese, più che agli ospiti internazionali.
La sinistra nel mirino. Il filo conduttore è l’attacco frontale all’opposizione, definita una “sinistra che rosica”, incapace di vincere e costretta alle ammucchiate per il potere. Meloni chiama in causa Elly Schlein, assente ad Atreju e impegnata in contemporanea all’assemblea del Pd, ironizzando sulla difficoltà di tenere insieme il campo largo. Nel pantheon rovesciato finiscono anche Ilaria Salis, Francesca Albanese, Greta Thunberg e Maurizio Landini, accusato di colpire il governo e tacere su Stellantis.
Identità e memoria. Nel discorso riaffiora una narrazione identitaria che contrappone “noi” e “loro”. La premier evoca il Sessantotto come spirito ancora presente e critica una sinistra definita “comunista con il ceto medio e turbocapitalista con il potere”. Non manca il richiamo alle presunte sudditanze internazionali dell’opposizione, dal passato del Pci ai rapporti del Pd con le capitali europee e Washington.
Poca estera, molta Italia. La politica estera resta sullo sfondo, se non per respingere le accuse di genocidio in Medio Oriente attribuite alla narrazione della sinistra. Il cuore dell’intervento è tutto interno, con un tono che guarda già alle prossime scadenze elettorali e al clima referendario, tra rivendicazioni e provocazioni.
Il finale di Atreju. Meloni chiude spronando Fratelli d’Italia a osare ancora. Parte l’Inno di Mameli, poi “A mano a mano” di Rino Gaetano. Salvini si concede ai selfie, Arianna Meloni resta nel backstage, la madre della premier lascia l’area in auto. Atreju cala il sipario tra cori, cartonato della leader e slogan identitari, confermando la festa come vetrina politica e termometro della maggioranza.
