Ha preso ufficialmente il via l’operazione di consegna di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza da parte degli Stati Uniti. I primi due dei quattro punti di distribuzione previsti sono stati attivati: uno a Tal al Sultan e l’altro lungo il corridoio di Morag, nell’area meridionale di Rafah. L’annuncio è giunto dalle Forze di Difesa Israeliane, mentre sul campo la situazione è subito apparsa esplosiva.
Folla assalta i pacchi: contractor sparano in aria
Fin dalle prime ore, migliaia di persone, spinte da una fame disperata, si sono riversate sui centri di distribuzione. In uno di questi, la pressione della folla è degenerata in un vero assalto ai beni di prima necessità. Le immagini circolate online mostrano centinaia di civili correre verso una sorta di fortino di sabbia vicino al mare, dove erano stipate le scorte. Le guardie private della Gaza Humanitarian Foundation, responsabili della sicurezza, sono intervenute sparando in aria per disperdere la calca.
Difficoltà di accesso e accuse reciproche
Le difficoltà logistiche rimangono enormi. Secondo fonti palestinesi, per raggiungere i centri di distribuzione è spesso necessario percorrere a piedi oltre 15 chilometri, per ottenere razioni alimentari che durano solo pochi giorni. La Ghf ha accusato Hamas di aver eretto posti di blocco per ostacolare l’afflusso della popolazione. Il quadro che emerge è quello di una catastrofe umanitaria in pieno svolgimento, senza una governance centrale in grado di gestire i flussi.
Il contenuto degli aiuti e i numeri
Secondo i dati diffusi dalla fondazione, ciascun pacco alimentare contiene tre confezioni di pasta, due sacchi da un chilo di riso, uno di lenticchie rosse e diverse scatolette di pomodori e ceci. In totale, la Ghf dichiara di aver distribuito 8.000 pacchi, equivalenti a circa 462.000 pasti. Gli aiuti provengono da tre organizzazioni internazionali – Ihrc, Rahma e Multifaith Alliance – uniche ad aver accettato di collaborare con Israele. Le Nazioni Unite, invece, insieme a molte Ong, hanno rifiutato ogni coinvolgimento, criticando aspramente il piano.
Le critiche dell’Onu e l’alternativa italiana
Secondo Jens Laerke, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, il piano americano rappresenta una distrazione rispetto a ciò che davvero servirebbe: la riapertura dei valichi di Gaza e l’arrivo di convogli umanitari regolari. In parallelo, il programma “Food for Gaza”, sostenuto dall’Italia, ha fatto entrare 15 camion nella Striscia, gestiti dal Programma alimentare mondiale dell’Onu, con una distribuzione più strutturata e meno rischiosa.
