Poco meno di 5 milioni al picco dello share e il 27% della platea televisiva, in una serata che vedeva la concomitanza con le partite di Champions League. Un successo! Al di là dei distinguo, delle (immancabili e inutili) critiche, delle apologie, spesso ma non sempre di parte, e delle analisi appiattite sul risultato.
Sto parlando - ma lo avete già capito - del lungo monologo (circa due ore ininterrotte) di Roberto Benigni - "Pietro. Un uomo nel vento" - andato in onda su Rai 1, in prima mondiale, il 10 dicembre ultimo scorso. Amo le voci dissonanti, sono fertilità dell'anima, ricerca della propria, indissolubile verità. Due per tutte. Da L'Osservatore Romano:"Credo che oggi tutti dobbiamo un ringraziamento a Roberto Benigni per il suo monologo straordinario, sorprendente, commovente, su san Pietro - ha detto il prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini - "E naturalmente alla Rai per avere, in questo anno giubilare, raccolto e vinto la sfida di dedicare una prima serata di Rai 1 al racconto della vita straordinaria dell'apostolo Pietro. Una bella pagina di televisione, con l’amore che gli artigiani mettono nel proprio lavoro, dove ogni pezzo è diverso dall’altro. Ai quasi cinque milioni di italiani che hanno visto il monologo in tv, rivivendo così la bellezza di una storia universale e della televisione come strumento di cultura. Abbiamo bisogno di ritrovare la memoria per ritrovare noi stessi, per riscoprire la nostra bellezza fragile. E però grande. Misteriosamente capace di rigenerarsi. Come la storia di Pietro. La storia di Pietro è la nostra storia. La nostra storia dimenticata, tradita, rinnegata. Ma alla fine ritrovata".
Al contrario Giorgio Simonelli, "storico della radio e della televisione", su www.ilfattoquotidiano.it, ha scritto: "La prima cosa che non ha funzionato è lo spazio. Benigni ci aveva abituato per queste due serate a delle ambientazioni 'povere', essenziali, raccolte, rese calde dal legno del palcoscenico e degli spalti, in cui spiccava talvolta il rosso del suo semplice maglione. Paradossalmente la scelta di un luogo prestigioso, evocativo come i giardini vaticani non ha giovato. Quell’aiuola così ben curata, il pubblico disposto a semicerchio distante dalla pedana, le frequenti inquadrature dall’alto hanno creato un clima di fredda ufficialità, in cui anche la partecipazione dei presenti è apparsa un po’ stentata".
Per aggiungere: "Poi c’è la narrazione e qui mi pare che a Benigni sfugga di mano qualcosa, che manchi un po’ di equilibrio. Ci sono, come è noto, due fasi nella vita di Pietro, quella palestinese accanto a Gesù e quella romana, quella del "Quo vadis?".
La prima è testimoniata dai vangeli con grande precisione, la seconda è più incerta, piena di misteri, di leggende che si intrecciano con le vicende storiche della diffusione del cristianesimo a Roma. Ma nel percorso scelto da Benigni questa seconda parte che avrebbe molti spunti emozionanti, una sua dimensione avventurosa, popolare in cui Roberto si trova particolarmente a proprio agio è invece compressa, lasciata a un finale frettoloso. Nella prima parte, invece, lo squilibrio è di altro tipo. Poiché il tema è Pietro, la sua figura, la sua personalità, sembra delinearsi a un certo punto un’immagine interessante, molto umana, quello di un Pietro un po’ impacciato, non molto sveglio, uno di quei giovani buoni ma che non capiscono mai bene cosa fare al punto da far perdere la pazienza ai santi, anzi al Cristo stesso. Purtroppo dopo aver costruito così gradevolmente il personaggio, Benigni lo lascia perdere per abbandonarsi a lunghe considerazioni sulla portata rivoluzionaria del messaggio cristiano, digressioni risapute che fanno perdere al racconto il suo punto centrale. Passione, il pathos che è sempre stato il punto forte di queste operazioni di Benigni, così se ne va e per ritrovarlo bisogna aspettare i saluti finali calorosi, autentici, sinceri come sempre accade con Roberto. Ma questa volta è troppo poco".
Tra i due litiganti il terzo gode, recita un settecentesco dramma giocoso in tre atti del compositore Giuseppe Sarti, basato sul libretto "Le nozze" di Carlo Goldoni. E io - fiero di essere terzo - dico che Pietro (perdonate la laicità con cui lo appello) siamo tutti noi: fragili, autentici, insicuri, orgogliosi, stupidi, coraggiosi, eroi, figure lampeggianti nel buio tetro, prima che qualcosa o qualcuno ci risvegli. Per questo Gesù lo ha scelto per "edificare la sua Chiesa". E Roberto Benigni ce lo ha per fortuna ricordato. Qualcuno faccia altrettanto con quelli che credono che quanto ascoltato potesse essere detto o fatto meglio: anche (e forse soprattutto) a loro ha parlato la storia raccontata dal menestrello di Castiglion Fiorentino, giuste o sbagliate che fossero le forme e i contenuti usati per farlo. Ce ne fossero altri come lui, e come quelli di noi che ne hanno liberamente tratto insegnamenti ed emozioni.
