Il Pd a Napoli bloccato tra scandali e carte bollate

Il tribunale civile annulla il procedimento elettorale e la proclamazione del segretario Costa

Napoli.  

Mentre nel Pd, in giro per l’italia, dopo le primarie di domenica 3 marzo si respira aria nuova e si rilancia l’azione politica grazie alla boccata di ossigeno che è arrivata dall’elezione di Zingaretti e soprattuto dal milione e mezzo di persone che si sono recate alle urne, a Napoli il Pd ricomincia dalle carte bollate. Dopo la chiusura annunciata della sede provinciale di via Toledo, dopo i tipici e rituali scandali dei seggi alle primarie, arriva anche il colpo di grazia alla segreteria di Massimo Costa, con il giudice della settima sezione del tribunale civile Mario Fucito che annulla il procedimento elettorale del congresso 2017 e la proclamazione di Costa a segretario provinciale.

Quello del 2017 è stato un congresso che ha messo in luce tutti i limiti di una classe dirigente democratica che a Napoli si è dimostrata ancora una volta incapace e soprattuto legata ad un passato che ormai è scomparso anche dal ricordo dei cittadini. 

Le fazioni e le varie correnti napoletane, tutte legate ad un capo locale, si erano divise in maniera netta e chiara per un appuntamento, quello del congresso provinciale, che con le elezioni nazionali e amministrative alle porte sembrava importante e ghiotto. Nessuno aveva di certo in mente la riorganizzazione del Pd metropolitano, ma tutti avevano ben chiaro il ruolo strategico che la figura del segretario locale avrebbe potuto svolgere nell’individuazione di candidati e ruoli sia livello locale che nazionale. 

La candidatura di Nicola Oddati, assessore della giunta Iervolino, voluta fortemente dal Presidente Vincenzo De Luca, riuscì ad aggregare tutti gli ex-ds in una logica di ritorno al passato che avrebbe potuto garantire voti ma non certo rispecchiare l’esigenza di novità e di innovazione di cui necessitava il Partito Democratico napoletano. Su Oddati si erano ritrovati quindi Andrea Cozzolino, Antonio Marciano, Enza Amato, Bruna Fiola, Gianluca Daniele, Valeria Valente e Berardo e Leonardo Impegno. 

Dall’altra parte invece Mario Casillo e Lello Topo avevano inventato la candidatura di Massimo Costa, personaggio fino a quel momento sconosciuto ma che poteva contare sull’appoggio di un gruppo che nel partito conta in termini di tessere e poltrone più di qualsiasi altra componente, un gruppo che non è mai stato minoranza all’interno del Pd. Insieme si erano ritrovati i rappresentanti di Areadem e quelli della sinistra orliandiana come Sarracino, tutti sulla barca di Massimo Costa.

Infine a fare il ruolo dell’outsider c’era Tommaso Ederoclide, che provava a giocare una partita generazionale co il suo Comitato 30 ma che poi è diventato presidente del Partito in accordo con Costa. 

A pochi gironi dal voto nei circoli, Oddati iniziò a sollevare questioni gravi sulla composizione dell’anagrafe, lanciando il pericolo di avere una platea falsata da pluricentenari iscritti ai Giovani Democratici, da tessere false e da dati che erano così raffazzonati da ritrovarsi nella situazione di avere iscritti nell’anagrafe anche persone che non erano ancora nate. 

Roma intanto aveva anche mandato un commissario con il compito ingrato di dover garantire un processo che, a pochi mesi dal voto, non avrebbe dovuto produrre spargimenti di sangue. 

Alla fine si andò a votare in due domeniche tra dichiarazioni e decisioni contrastanti che arrivavano da Roma, con i segretari di circolo che ritiravano o meno il kit elettorale in base alla corrente di appartenenza. 

Nicola Oddati, oggi zingarettiano di ferro e in odore di nomina in segreteria nazionale, a quel punto presentò un ricorso in tribunale e una parte degli iscritti non partecipò al congresso, alcuni circoli neanche aprirono la sede per le votazioni. Si creò una frattura che non si è più riuscita a ricucire e che oggi con la decisione del tribunale diventa instabile, anche se le posizioni sono mutate e insieme con Oddati in assemblea nazionale con Zingaretti ci sono rappresentanti che erano schierati con Costa. 

Il ricorso di Oddati ha rappresentato una spada di Damocle che pendeva sulla testa dell’ormai ex-segretario provinciale. Una questione che con i mesi era diventata ingombrante per il PD nazionale che aveva provato a portare avanti una trattativa. Si era anche giunti ad un accordo con il gruppo di Oddati che, dopo una serie di trattative interne, aveva anche stilato un elenco di nomi, rispettoso delle varie correnti in pieno stile Cencelli, da inserire negli organismi del Pd metropolitano. 

Ma la trattativa non è mai stata portata in porto e il ricorso non è mai stato ritirato.

Mentre Massimo Costa si dice “parte lesa” e annuncia che non si appellerà al ricorso perché a farlo dovrebbe essere il partito, Oddati prova a difendere la posizione politica spiegando però che è una questione ormai passata “chiedevamo solo un congresso rispettoso delle regole. Abbiamo assistito solo forzature e chiusure”. 

La settimana prossima Zingaretti si insedierà e dovrà inviare un commissario, l’ennesimo per il Pd partenopeo. 

Sembra proprio che ha Napoli il problema del Pd sia proprio rappresentato dai dirigenti dem e dalle loro guerre personali. Nonostante la città abbia risposto in maniera anche forte alla chiamata democratica delle primarie, i dirigenti non riescono a chiudere un periodo di lotte intestine che ormai hanno la connotazione esclusiva delle questioni individuali. Una situazione orami incancrenita che va avanti, a Napoli più che in provincia, da quando il Partito Democratico è nato. 

Non sono bastate due sconfitte schiaccianti alle amministrative in città, non sono bastate le polemiche ad ogni primarie né i risultati elettorali nazionali che hanno messo in luce una crisi profonda nel rapporto tra questo soggetto politico ed i napoletani e non basteranno le decisioni del tribunale per ridare al Partito Democratico una guida condivisa e capace di superare le polemiche interne.