IL PIZZONE di Gerardo Casucci: Entrare nel cuore

Una squadra per durare nella memoria dei tifosi prima che vincere dovrebbe far sognare...

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Napoli.  

Francesco Montervino, ex capitano del Napoli e attualmente dirigente sportivo, intervenendo ai microfoni di Radio Marte durante la trasmisssione "Forza Napoli Sempre" ha affermato: "Per completezza questo Napoli potrebbe essere il migliore dell’era De Laurentiis, anche se se la gioca con quello di Spalletti. Io però vorrei che entrasse di più nel cuore dei napoletani, come è successo anche a qualche Napoli che non ha vinto. L’attuale Napoli ha una struttura eccellente nell’organico ma servirebbe il beniamino dei tifosi, l’idolo delle folle come erano Lavezzi, Cavani o Mertens. Mc Tominay si sta dimostrando un serio candidato ma non è ancora ai livelli di quelli citati". E

ha poi aggiunto: "Oggi il trasporto verso il Napoli ce l’hanno verso De Laurentiis e verso Conte, leader assoluto per carità, ma in campo ci vanno i calciatori". Credo che il bravo ex centrocampista azzurro abbia in qualche modo centrato il problema: una squadra per durare nella memoria dei tifosi e, così, lasciare di sé tracce indelebili nella storia, dovrebbe prima che vincere - insieme, sarebbe perfetto - entusiasmare, far sognare, trascinare, appassionare, con i gesti, i comportamenti e le loro talora straordinarie finalizzazioni. Per far ciò, a mo' di esempio, Montervino ricorda proprio quanto accaduto col Pocho Lavezzi "alla seconda giornata appena...nella gara contro l'Udinese". 

Da lì la storia di un amore indelebile è stata scritta e tutto quello che ne è conseguito è stato e sarà quasi più duraturo di una vittoria. Certo - il buon Antonio Conte potrebbe obiettare - "nessuno ricorda i secondi", ma è anche vero che il Brasile sconfitto dall'Italia di Bearzot  nel 1982 e quello che la battè nella finale del 1970, nell'immaginario collettivo e nelle passioni (anche non felici) che scatenarono, alla fine pari sono. Gli almanacchi riempiono le bacheche e fanno bene alle statistiche, ma non potranno mai pareggiare la felicità di un bambino che si aggirò per tutto il giorno con una bandierina tricolore in mano e per una notte intera non dormì dopo lo storico e palpitante 4 a 3 di Italia-Germania nella semifinale della competizione poi (come detto) persa col Brasile.

Ricordo con più fervore quell'Italia del '70 e quel Brasile del 1982 che non, per dire, l'Italia del 2006, pur vincitrice anch'essa di una coppa del mondo. Il calcio è un gioco meraviglioso, fiumi di parole sono stati spesi da scrittori e poeti per celebrarlo, ma senza la frenesia di un cuore - vi chiedo - avrebbe lo stesso fascino, lo stesso immutato e irripetibile valore?