"Dall'orrore delle carrette della morte alla vita"

Un migrante ospite in un centro di accoglienza ad Ariano racconta in un libro la sua odissea

Parla del suo lungo e tormentato viaggio attraverso il deserto fino alla Libia, delle atroci violenze subite prima di raggiungere le coste italiane e della straordinaria accoglienza ricevuta in Irpinia...

Ariano Irpino.  

 

di Gianni Vigoroso

Dal Kolda in Senegal ad Ariano Irpino. Babacar Niag Gassama, per gli amici Baba, tra i migranti ospiti nel centro di accoglienza a Camporeale, racconta in un libro diario la sua odissea. “Lo voglio dedicare alla bella ed elegante città di Ariano Irpino e a tutti quelli che sanno dare una speranza.”

Baba è riuscito sin da subito a familiarizzare con la gente di Camporeale, a partire dalla grande famiglia de O Pollastriello, guadagnando stima e fiducia e insieme a lui anche gli altri ospiti del centro.

Parla del suo lungo e tormentato viaggio attraverso il deserto fino alla Libia, delle atroci violenze subite prima di raggiungere le coste italiane e della straordinaria accoglienza ricevuta in Irpinia.

“Non sono l’uomo nero, credetemi. Per me raccontarmi è un costante ritrovarmi dentro e forse persino ricostruirmi, al fine di accettarmi delle cose vedute, per capire se veramente c’è un senso a tanta violenza vista e provata in quel mio incredibile viaggio per arrivare sin qui, a questo diario così profondamente mio e a una moltitudine che si muove ancora oggi verso l’ignoto perché di quel poco conosciuto non vede domani.”

Scrive, rivolgendosi soprattutto ai tanti giovani immigrati, arrivati come lui in Italia su quelle che definisce, le carrette della morte.

“Credo che dovremmo benedire questa nazione, che ai nostri occhi, seppur senza accorgersene, ci fa in qualche modo sentire liberi. Sono sgomento quando sento in televisione che ragazzi come me commettono furti, violenza, delitti. Non riesco proprio a comprendere come queste cose possano accadere e come si possa ripagare il bene dell’ospitalità con il male.”

La nota scrittrice Giuliana Caputo, che lo ha affiancato in questo primo percorso letterario, insieme a Nunzio Lucarelli psicologo e psicoterapeuta, definisce così il diario di Babacar: “Questo libro vuole essere un modo di ringraziare per la solidarietà e l’accoglienza. Lui che non  ha altro da dare in cambio, ha voluto tradurre in parole i sentimenti, mettere a nudo anche l’anima per farsi conoscere. Ha voluto ringraziare così. Là dove arriva il calore di una carezza, si spegne il dolore quasi dimenticato. L’anima avvisa il cuore che è pronto ad amare, a sognare ancora, a dimenticare per perdonare.”

Baba parla della sua vita fatta di sacrifici e la permanenza in Italia: “Ho sempre lavorato fin da bambino, soprattutto per non sentirmi inutile a me stesso e da quando ho messo piede in questa nazione mi sono reso subito disponibile, a volte senza pretendere neppure di essere pagato, accontentandomi di un regalo, di un pranzo insieme o semplicemente della loro compagnia. Il lavoro è necessario per dare un senso ai nostri giorni, per non farci pensare con angoscia ai familiari e ad una terra così lontana. Ma appena arrivati, non possiamo pretendere, come alcuni pensano, un lavoro ben retribuito e assistito che neppure gli italiani stessi riescono ad avere. Ma forse è anche vero che non si possono lasciare in abbandono per la strada a fare nulla tutto il giorno, giovani pieni di energia e vita.”

Poi un appello: “Voglio rivolgere un invito a tutti i miei fratelli immigrati a rispettare il valore dell’ospitalità così importante nei nostri paesi di origine e ad entrare in punta di piedi nelle tradizioni e nella cultura delle città che ci ospitano in cui solo per caso o per fortuna, ci troviamo a vivere. Un invito a lavorare e ad impegnarci anche per il progresso economico di questa nazione e nel ricordo prima di tutto, di quei nostro bambini, quelle donne, quegli uomini che, partiti insieme a noi con i nostri stessi sogni, non ce l’hanno fatta e hanno perduto tutto, anche la vita.”